‘Movement’, a 39 anni dalla ripartenza dei New Order

Movement è il primo album discografico dei New Order, pubblicato il 13 novembre 1981 dalla Factory Records.

10:53:41  – 13/11/2020


 

Così parlò Stephen Morris

“Perché abbiamo deciso di andare avanti? In realtà non abbiamo mai nemmeno pensato: “Continuiamo o la chiudiamo qui?”, siamo semplicemente andati avanti. Siamo andati al funerale, siamo stati alla veglia funebre a Palatine Road, e poi ci siamo salutati: “Allora ci vediamo lunedì”, e così è stato. Non ci siamo mai messi lì a pianificare le prossime mosse: “Bene, ora si fa questo, poi quello e poi quell’altro ancora”. Cominciamo a far qualcosa e speriamo che vada tutto per il meglio. Siamo fatti così.”

(da Joy Division autobiografia di una band di Jon Savage)

New Order in Movement: i sogni non finiscono mai

Non è mai semplice ricominciare, ripartire da zero, quando perdi uno dei pilastri su cui si regge la tua costruzione artistica. Specie, nel caso degli ex- Joy Division, se sei oggetto di un culto ossessivo e feroce e ti viene a mancare l’icona della band, il suo simbolo, colui che con le sue movenze sgraziate e la sua voce profonda ne impersonificava lo spirito.

Ma l’amore per la musica, la cultura del lavoro e la curiosità verso il mondo esterno hanno permesso ai New Order di erigere, partendo dalle fondamenta, un nuovo edificio musicale, meno austero e solenne del precedente ma altrettanto solido, elegante e ben rifinito. Di questo nuovo impianto sonoro Movement è il primo mattone.

Eppur si muove

Impossibile aspettarsi stravolgimenti epocali da Movement, che esce il 13 novembre del 1981. Troppo fresco il lutto, troppo pesante il fardello da cui affrancarsi. Poi gli altri elementi sono gli stessi: il basso pulsante di Peter Hook, la chitarra affilata di Bernard Sumner (che si assume anche l’onere del cantato), la batteria metronomica di Steven Morris, con la sola aggiunta di Gillian Gilbert (futura moglie di Morris) alle tastiere. Le asperità degli esordi erano già state superate in Closer e si procede in quella direzione. Il mood è ancora oscuro e melanconico ma si fa meno plumbeo, si intravedono squarci di luce.

Elaborato il lutto in ICB (che sì, sta per Ian Curtis buried) si può tornare a sperare, come afferma l’innodica Dreams Never End che apre il disco. Chosen Time lascia presagire gli sviluppi futuri, Doubts Even Here è un po’ un commiato alla stagione del post-punk virato dark che ha esaurito la sua spinta propulsiva. Nel complesso non è un disco di reduci sconfitti dalla storia, è un disco di una band alla ricerca di una nuova identità.

Poi arriverà Blue Monday e il flirt con la dance music, poi ci sarà una nuova summer of love da abbracciare da fratelli maggiori e un capolavoro di pop contaminato come Technique. Ma tutto riparte da qui.

Gabriele Marramà

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