Moses Sumney – Græ Part 1 + Part 2

Græ è il secondo album in studio di Moses Sumney. Il doppio album è stato pubblicato in due parti da Jagjaguwar. La prima parte il 21 febbraio 2020, seguita dall’album completo, inclusa la seconda parte, il 15 maggio.


 

 

Etichetta: Jagjaguwar
Genere: Electro soul, Baroque pop
Release:  21 febbraio – 15 maggio

Græ di Moses Sumney come un’Isola

Ognuno è un’isola, ognuno è una moltitudine. La simultanea esistenza di questi opposti è fondamentale per avviare una profonda lettura interiore. Il primo passo da fare è prendere coscienza del proprio isolamento, sia esso auto-imposto o scelto liberamente. In secondo luogo è fondamentale abbracciare la propria condizione di isola per poter spalancare la porta dietro la quale galleggiano, in un fiume dalle tinte sfumate, le nostre moltitudini. Moses Sumney quel fiume lo ha navigato e, come ci ha mostrato nel sincero video di Polly, ne ha assorbito tutte le sfumature riconsegnandocele sotto forma di musica in Græ.

Un disco composto da due anime

Dopo l’ottimo esordio di AromanticismSumney torna con un audace secondo doppio album le cui due parti sono uscite a distanza di tre mesi l’una dall’altra (21 febbraio e 15 maggio). Nonostante questa divisione i 20 brani che lo compongono sono perfettamente amalgamati in un unico corpo dalle due anime stratificate. La prima più barocca, carica di luce e sonorità travolgenti, la seconda più intima e cupa. Entrambe subiscono l’elegante influenza del jazz, del soul, dell’elttronica, aprendo alla sperimentazione e accogliendo lo spoken word. La voce di Sumney si muove sinuosa fra falsetti graffianti e bassi profondi: è totalmente liquida, come d’altronde è l’essenza delle moltitudini di cui racconta.

Fra le pieghe dei grigi

La voce distorta di Taiye Selasi in Insula spalanca quella famosa porta che conduce alla  scoperta della ‘greyness’, la scala di grigi di cui è composta la vita. Nella prima parte ci vengono incontro i grigi luminosi che suonano come il basso di Thundercat, in Cut Me, o le percussioni tribali della viscerale ConveyorAnche quando si racconta la tossicità emotiva che spezza l’anima (Polly, Virile) o il ritmo rallenta in Colouourbrano in cui è forte l’eleganza dell’impro jazz, il grigio resta carico di riflessi iridescenti. Diverso è il tono della seconda parte. La sensazione è quella di trovarsi in un club piccolissimo, in cui le vibrazioni dei suoni fendono l’aria densa di fumo, Keeps Me AliveSumney è a suo agio nel buio, manipola l’oscurità con grazia nel brano più sospeso dell’album, Lucky Me, in cui il falsetto raggiunge tonalità altissime senza mai perdere un colpo. Le iridescenze tornano a brillare grazie alle chitarre e al basso di Bless Me, forse il pezzo più bello in assoluto, in cui il ritmo sale pian piano e per culminare in un’epifania finale.

Lo spoken word trova ampio spazio negli interludi recitati, fra gli altri, da Ezra Miller Jill Scott (jill/jack). Le parole ampliano il messaggio dei brani, concedendo pause che non spezzano il corpo del disco ma al contrario lo arricchiscono. Sono terreno di riflessioni sul genere, sulla libertà di vivere ciò che si è svincolandosi dalle definizioni che altri hanno imposto per racchiudere le moltitudini (Boxes)I really do insist that others recognize my inherent multiplicity. What I no longer do is take pains to explain it or defend it. 

Conclusioni

Moses Sumney non ha avuto paura di osare. Con questo disco entra di diritto in quella cerchia di artisti che vanno oltre la musica e abbracciano l’arte nella forma più pura. Era d’altronde inevitabile che accadesse: non è possibile contenere in confini precostituiti una personalità così camaleontica e inclassificabile come la sua, di cui continueremo a seguire l’ascesa.

Chiara Luzi 

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