Genere: Cover
Release: 24 maggio
Etichetta: BMG
Cercando di dimenticare per un attimo le deludenti notizie riguardo le sue discutibili scelte politiche abbiamo pensato che, dopotutto, l’atteso album di cover di Morrissey meritasse un minimo di attenzione da parte nostra. Lasciando da parte le domande su quanto bisogno avessimo effettivamente di un album del genere, nel 2019, abbiamo ascoltato il suo ultimo lavoro, California Son e, tutto sommato, è stata una scommessa azzeccata.
Sin dal prorompente pezzo d’apertura, Morning Starship di Jobriath (rifatta assieme a Ed Droste dei Grizzly Bear) la voce di Morrissey ci ritorna tremendamente familiare; gli arrangiamenti ben curati, il suo talento nell’interpretazione dei pezzi e la meravigliosa voce rendono, da subito, la raccolta godibile e interessante d’ascoltare. Sembra quasi che Morrissey voglia “riattualizzare” certi suoni e certi modelli tipici degli anni ’60 (la maggior parte dei pezzi risale proprio a quegli anni) e non è un caso che, in momenti topici come la riuscita It’s Over (capolavoro di Roy Orbison, riproposta collaborazione con LP) ci vengano in mente band come The Last Shadow Puppets o i Tame Impala, note per influenze simili.
Nell’album si avvertono, in generale, due anime: la prima, epica e pomposa (Only a Pawn in Their Game di Bob Dylan, ad esempio) e la seconda dalle atmosfere dilatate, psichedeliche (Don’t Interrupt The Sorrow, pezzo del 1975 di Joni Mitchell). Le cover meglio riuscite son sicuramente quelle appartenenti al secondo filone, mentre le prime appaiono fin troppo barocche e addirittura, in brani come Loneliness Remembers What Happiness Forgets di Dionne Warwick, i suoni si presentano banali, pulitissimi, i fiati sembrano presi in prestito da un album di Carl Brave. Insomma la produzione, a tratti eccessiva, stona con la leggerezza della voce di Moz.
Tutto sommato – volendo ignorare la tremenda copertina, evidentemente copiata da qualche cartellone pubblicitario vintage di gelati – California Son è un disco piacevole. Non richiede un ascolto impegnato, sebbene le cover siano perlopiù canzoni di protesta e converrebbe rivolgere un po’ più di attenzione ai testi, né cambierà le sorti della musica mondiale. Ma ci ricorda che, quando Morrissey canta e non si lancia in discorsi imbarazzanti sui massimi sistemi della politica, merita ancora di essere ascoltato.
Michele Ruggiero