Moon Pix è il quarto album della cantautrice statunitense Chan Marshall, meglio nota con lo pseudonimo di Cat Power.
21:10:03 – 22/09/2022
Genesi
La storia della genesi di Moon Pix, quarto album in studio di Cat Power, è sicuramente una delle più affascinanti e inquietanti di sempre, ed è la stessa cantante a raccontarla. Leggenda, o realtà, vuole che una notte di circa venticinque anni fa Chan Marshall, che al tempo viveva in una fattoria nella Carolina del Sud assieme a Bill Callahan, si svegliò terrorizzata da un incubo. Una volta sveglia si rese conto che gli oscuri spiriti che l’avevano vessata in sogno erano reali e ben presenti fuori dalla finestra della sua cucina. A questo punto Chan fa l’unica cosa in grado di tranquillizzarla: prende la sua chitarra e inizia a suonare. Da questa sessione quasi ultraterrena, la musicista tirerà fuori alcuni dei brani che avrebbero composto quello che è considerato da molti il lavoro migliore della sua carriera.
Inquietudine e semplicità
Effettivamente Moon Pix è un disco memorabile, imbevuto di malinconia e di una forte inquietudine causata da demoni ben più reali, che in quel periodo della sua carriera, fatta di concerti interrotti o date saltate, la stavano realmente ossessionando. Riuscire a canalizzare tutto questo malessere non deve essere stato facile, ma nonostante ciò Cat Power riesce a intrecciare trame sonore languide e in certi momenti quasi minimali, Pecking Saint.
La semplicità è la chiave di volta della struttura di Moon Pix che in questo senso si distacca dal precedente lavoro, What Would the Community Think, che, seppur altrettanto inquieto, era strutturalmente più complesso e non semplice da approcciare. L’opener, American Flag, costruita sulla batteria rallentata di Paul Revere dei Beastie Boys, è il punto di contatto fra questi due lavori: è qui che avviene il passaggio di testimone fra le due Chan. Da questo punto in poi il disco prenderà la sua strada.
L’ipnotico blues di Moon Pix
L’album venne registrato in Australia in pochissime sessioni con la preziosa collaborazione di Jim White e Mick Turner, batterista e chitarrista dei Dirty Tree. La spina dorsale dei brani è sempre la vellutata voce dell’artista di Atlanta, preziosissimo strumento che viene usato con estrema cura per addomesticare gli oscuri spiriti che la terrorizzano. Se necessario si moltiplica, come negli iridescenti riverberi del blues di Metal Heart. Chan tiene ben salde le radici nel blues e nel folk, ne conserva le suggestioni e le usa per ipnotizzare questa specie di mostro interiore, lo culla dolcemente, Stay, fino a renderlo innocuo. La musicista è ben consapevole di ogni sua mossa, sa perfettamente come costruire brani solidi ma allo stesso tempo eterei, senza un apparente scheletro.
Le chitarre e la batteria di Moon Pix sono sempre morbide, forgiate da quel particolare colore sonoro che appartiene a Cat Power e a nessun altro. Gli strumenti sono al suo servizio, viaggiano senza paura in valli spettrali e attraenti, Cross Bones Style, in cui si ha realmente l’impressione di essere spiati da qualche presenza.
Lentezza
La lentezza è il leitmotiv di questo disco costruito sulle vulnerabilità e le ansie dell’artista. Sono lente le influenze folk-blues che dondolano sospese in un cielo stellato, Moonshiner, sono lenti i pensieri che Chan mette in ordine in testi poetici. È la lentezza che le permette di ritrovarsi dopo essere scesa all’inferno, salvandola da un probabile definitivo deragliamento, ‘I once was lost, but now I’m found’.
Moon Pix è un album onirico, ossessivo, che racconta l’oscurità con estrema lucidità. Dopo quasi venticinque anni conserva ancora intatto un potere ammaliante a cui è praticamente impossibile rimanere indifferenti.
(Chiara Luzi)