‘Millions Now Living Will Never Die’ dei Tortoise: il simbolo del post-rock

Millions Now Living Will Never Die è il secondo album dei Tortoise. Pubblicato nel 1996 dalla Thrill Jockey, considerato uno degli album fondamentali del post-rock.

10:08:19  – 30/01/2021


 

Post-rock

Le etichette di genere, croce e delizia di ogni appassionato di musica. Tra tutte, quella di post-rock è una delle più elusive e sfuggenti. Di suo, tratteggia solo un orizzonte temporale, la musica dopo il rock. Ma cos’è, il dopo rock? A creare il termine è stata la penna lucida e visionaria di Simon Reynolds, recensendo lo splendido Hex dei Bark Psychosis, su Mojo nel marzo del 1994. L’etichetta voleva comprendere una serie di bands inglesi (Bark Psychosis, Seefeel, Disco Inferno, Robert Hampson) che espandevano i confini della canzone rock tradizionale proponendo una musica prevalentemente strumentale.

Presto il concetto si allargò andando a coprire le esperienze coeve dall’altra parte dell’Atlantico, partendo dalla galassia Slint.Il post-rock nasce come esigenza di superamento di un’estetica rock che col grunge e il brit-pop aveva dato ampi segnali di regressione ad un’età mitica ormai superata. Attinge a materiali dimenticati o considerati marginali, come il minimalismo, il jazz elettrico, il kraut rock, l’elettronica vintage, l’ambient, il dub, ma li declina in una forma nuova, dalle strutture dilatate, con gli strumenti che dipingono bordoni e paesaggi sonori e non i canonici riffs e accordi. Il disco che più simboleggia e rende concreta l’idea post-rock, assieme a Spiderland degli Slint, è proprio il secondo disco dei Tortoise.

Sweet home Chicago

Chicago, la windy city, ha sempre avuto una scena musicale ricca e influente. E’ qui che si trovano i futuri Tortoise, tutti più o meno coinvolti in esperienze musicali precedenti. Il bassista Doug McCombs arriva dalla psichedelia aliena degli Eleventh Dream Day, John McEntire e Bundy K. Brown (rimpiazzato dopo il primo disco dall’ex Slint David Pajo) dal post-hardcore seminale dei Bastro. Esordiscono con un singolo nel 1993, poi l’anno dopo esce l’esordio omonimo, che si fa subito notare per la particolarità della strumentazione (2 bassi, 3 batteristi/percussionisti che si alternano, vibrafono e marimbas) e per le atmosfere rarefatte e dilatate. Ma il vero salto di qualità arriva l’anno dopo.

Tortoise, tra innovazione e complessità

MNLWND, frutto di un ritiro di 10 giorni nel Vermont, esce il 30 gennaio del 1996 e lascia un segno indelebile nell’evoluzione musicale del decennio. Basterebbero i quasi 21 minuti di Djed, che lo apre, a celebrarlo: partenza in sordina col dialogo tra basso e rumori, poi parte la batteria metronomica, il piano elettrico, il vibrafono e i glitch elettronici si alternano a costruire trame complesse e avvincenti. Minimalismo, kraut rock, ambient e dub si fondono in una miscela sonora ai tempi inaudita. Ma anche il resto non è da meno. Glass Museum è ariosa e avvolgente, con la chitarra di David Pajo in evidenza. A Survey si regge sul dialogo tra i 2 bassi, The Taut and Tame evidenzia il lavoro di produzione di John McEntire. Chiude degnamente Along the Banks of Rivers, quasi uno spaghetti western morriconiano trasportato nello spazio.

TNT, che arriva 2 anni dopo, è il disco che in qualche modo istituzionalizza il suono Tortoise, impeccabile nella forma ma meno coinvolgente. Se la magia e l’energia degli esordi vanno progressivamente scemando disco dopo disco, la band di Chicago si è comunque meritata un posto di riguardo tra i rivoluzionari del rock. 

Gabriele Marramà

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