Lost Souls dei Doves, l’esordio discografico invecchiato benissimo 

Lost Souls è l’album discografico di debutto dei Doves, pubblicato il 3 aprile del 2000 dalla Heavenly Recordings.

20:41:19  – 02/04/2021


 

Per chi scrive la musica dei Doves rappresenta una sorta di teletrasporto emotivo verso un’epoca in cui era più semplice credere nei propri sogni, in virtù di un approccio alla vita più sfacciato, spensierato e istintivo. Era l’alba del nuovo millennio quando “Lost Souls”, album di esordio della band di Wilmslow, cittadina inglese della contea del Cheshire, veniva dato alle stampe.

Un lasso di tempo che mi restituisce l’esatta misura della differenza tra il me stesso di 21 anni fa e quello che sono diventato oggi. Ai tempi mi perdevo nella voglia di scoprire quante più band della terra d’Albione, favorito da una serie di viaggi in quei territori, tra la modernità di città in continua evoluzione, campagne di un verde brillante, cieli plumbei e suggestivi negozi di dischi in cui riporre la speranza di trovarsi tra le mani qualche piccola gemma musicale dimenticata.


Lost Souls dei Doves, la genesi

“Lost Souls” rappresenta la colonna sonora ideale per chi ama un certo tipo di brit pop che deve molto all’eredità degli anni ’90 e che al contempo sa guardare al futuro, o quantomeno che sapeva farlo in quell’epoca. Il retaggio da club culture che la band si porta dietro regala una tracklist fatta di suggestioni psichedeliche che non rinunciano mai all’afflato pop, imbrigliate in un tessuto elegante e raffinato, quasi chill out, ideale per un ascolto rilassato e notturno.

A distanza di più di un ventennio invecchia come un buon vino di qualità, rivendicando la qualità di alcune trovate sin dalle prime note dell’iniziale “Firesuite”, un brano strumentale che è la dichiarazione di intenti di un disco traversale ma fruibile. Non manca una gemma di puro britpop, quella “Cedar room” che è diventata uno dei brani più iconici dei Doves, inusualmente inserita in scaletta in una posizione di secondo piano, capace comunque di non risultare un corpo estraneo in un disco dalla struttura più “liquida” e dai toni umbratili.

Pulsazioni reinterpretate con fluidità e concretezza

Il disco mette una voglia smisurata di alzare il fondoschiena dalla sedia e di mettersi in auto, magari all’imbrunire, per fuggire lontano dalla città con la musica a volume sostenuto. E di guidare fino a quando le luci metropolitane non diventano un semplice sfondo sfumato e luminoso all’orizzonte, mentre il contrasto tra la natura circostante e la civiltà si fa sempre più netto. Esattamente come quando osserviamo delle grandi pale eoliche muoversi sul pendio di una collina verde smeraldo, oppure quando incrociamo una fila di cavi dell’alta tensione nel bel mezzo del nulla della campagna inglese.

“Lost Souls” è più di un ottimo esordio, è un veicolo di pulsazioni musicali reinterpretate con fluidità e allo stesso tempo concretezza. E’ l’inizio di una rotta che pochi anni dopo ha regalato quel “The Last Broadcast” che non rinuncia al vestito buono del pop d’autore ma si eleva in una forma canzone più definita riconoscibile, che non potrebbe aver brillato di luce propria senza un progenitore di questa caratura.

Enrico Amendola

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