19/09/2024
slowdive just for a day - www.infinite-jest.it
Just for a Day è l'album d'esordio della rock band inglese Slowdive, pubblicato nel 1991 e prodotto da Chris Hufford

Just for a Day, l’esordio dei giovanissimi SLOWDIVE

In terra d’Albione ad inizio anni 90 “shoegaze” era la parolina magica che apriva qualunque porta ai furbi scribacchini musicali. Indicava quei musicisti letteralmente ripiegati sui propri strumenti, intenti a suonare in piena trance agonistica-esecutiva note galleggianti tra feedback, psichedelia e dream pop (che spesso collimavano tutti insieme felici e contenti in un  ambient più o meno distorto). Erano i famigerati “fissa-scarpe”.

Tra di loro trovavano spazio i Curve, i Ride, i Lush, i My Bloody Valentine del geniale Kevin Shields, ed infine gli Slowdive, quelli forse più particolari di tutti. Nati nel 1989 a Reading dalle menti di Rachel Goswell e Neil Halstead, gli Slowdive hanno saputo dapprima coniugare la lezione dei Cocteau twins (“Slowdive” è anche il nome di una canzone della band di Elisabeth Fraser) e molta new wave, poi inventarsi un suono del tutto loro, fatto di rallentamenti e pacate esplosioni celestiali. 

Dopo due anni di cambiamenti di formazione e l’uscita di vari EP, i musicisti, all’epoca ventenni, danno alle stampe il loro disco d’esordio Just for a Day.  Raramente la cover di un album ne ritrae in maniera tanto esemplare il contenuto: la stupenda immagine al rallentatore di una giovane donna, virata in un rosso debordante e sfuocato, è l’ottimo preludio alla musica contenuta nei quarantatre minuti di “Just For A Day”. 

I brani

Una danza onirica e sensuale. Un viaggio dentro i ricordi del nostro cuore, attraverso paesaggi eterei e remoti. Questo è un disco che sa entrarti dentro come pochi, grazie alle tante bellissime canzoni: “Spanish Air” ed il suo cupo passo progressive,“Celia’s Dream” ed il suo incantevole catarsi , “Ballad Of Sister Sue” e la sua malinconia cosmica. Eppoi c’è il canto ipnotico di Rachel: candela nell’oscurità (“The Sadman”, memore del Robert Smith di “Disintegration”), tra incredibili chitarre che sembrano tastiere nel crescendo di “Waves”, e splendente luce alla fine del turbine emotivo e abissale in “Primal”.

Dopo i titoli di coda, una tale opera poteva anche far calare il sipario sugli Slowdive, ormai la Storia aveva scelto da che parte stare. Seguiranno, invece un disco ancora più bello come “Souvlaki”, e che meriterebbe un lungo lunghissimo discorso a parte, un disco sperimentale e intimista come “Pygmalion” ed infine a 22 anni di distanza da quest’ultimo, due dischi che segnano l’attesissima, e non cosi scontata reunion, e ci regalano una band che anche a distanza di 30 anni e passa dagli esordi sa ancora il fatto suo (il self titled del 2017 ne è grande esempio).  

Gli Slowdive avevano, e sempre avranno, lo sguardo basso, immersi nelle onde di un rumore celeste, ed un cuore che punta sempre in alto, oltre l’esosfera, mentre noi ascoltatori continueremo a suggestionarci con la loro musica e con dischi come questo, un sogno a occhi aperti che dura appena 43 minuti, ma sembra non finire mai

Davide Belotti


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