L’esordio degli XX nella rovente e sensuale estate del 2009

XX è il primo album della band post-rock inglese The xx, pubblicato il 17 agosto 2009 da Young Turks. Prodotto dalla stessa band.

11:23:46  – 19/08/2021


 

La genesi degli XX

Esistono aziende che, sfruttando le alte percentuali di carbonio all’interno del corpo umano, possono tramutare le ceneri dei vostri cari in gemme preziose, diamanti di caratura variabile a seconda dei vostri desideri e, ovviamente, delle vostre disponibilità economiche. Una volta processate, le ceneri vengono sottoposte ad una pressione ed un calore calcolabili ma difficilmente immaginabili e da lì, in modo molto simile a come i diamanti si formano in natura, si ottiene una gemma, un cristallo crematorio da poter portare sempre con sé.

È una pratica di una romanticità piuttosto macabra e non mi stupisce che Oliver Sim ne abbia tratto ispirazione per Crystalized, il singolo degli XX uscito ad Aprile del 2009, giusto qualche mese prima del self-titled, uscito poi ad Agosto dello stesso anno. Crystalized non è soltanto la traccia che lancia la carriera degli XX ma, e non è un caso che sia stata scelta come singolo, è anche quella che meglio ne rapppresenta l’estetica musicale, i contenuti tematici e più in generale le atmosfere che il gruppo è in grado di evocare. Dal suo concepimento, alla sua stesura, al risultato finale, in questa traccia ritroviamo tutti gli elementi che “fanno funzionare” la musica degli XX e che hanno messo la band e il loro album di esordio sulla bocca di tutti nel giro nemmeno un anno, quasi bypassando la fase indie e catapultandoli quasi subito nel “mainstream”.

Qua però è necessario fare un passo indietro. Gli XX nascono quando Romy Madley Croft (chitarra e voce) e Oliver Sim (basso e voce), amici d’infanzia al tempo a malapena quindicenni, iniziano a fare musica insieme, dopo un lungo periodo durante il quale lo avevano fatto soltanto di nascosto, in solitaria.

Complice anche l’imbarazzo nel condividere con l’altro i propri pensieri più intimi di persona, molte delle idee per i testi dei loro pezzi verranno scambiate via mail o chat, un metodo di scrittura poco convenzionale che sicuramente avrà contribuito al risultato finale in tutte le tracce degli XX, che vedono Romy e Oliver alternarsi nel sussurrare i propri versi. Baria Qureshi, una compagna di classe del liceo, si unirà alla band come chitarrista e tastierista e non troppo tempo dopo la seguirà Jamie Smith, che apporterà il tocco finale al sound della band, aggiungendo una componente ritmica molto più dinamica e meno prevedibile rispetto a quella un po’ monodimensionale dei primi esordi della band su myspace.

Un nuovo sound

Diretto, deciso, coeso. Il primo album di questa band di ragazzi londinesi appena maggiorenni sa esattamente cosa vuole essere, conosce la propria identità e lo spazio emotivo ed estetico all’interno del quale vuole operare. Lo si capisce subito dall’apertura di Intro, unica strumentale del disco, che ci accoglie con un riff di chirarra semplice ed essenziale, ma al tempo stesso notturno e seducente che, affogato com’è nel reverb, ricorda molto gli Interpol di Turn on the Bright Lights.

Quando poi la breve traccia raggiunge la metà Jamie sopraggiunge con la drum machine e ballare, o quantomeno oscillare lentamente a tempo di musica, è quasi impossibile specie quando poi si aggiungono anche i cori sommessi del gruppo. L’equilibrio tra i vari elementi presenti all’interno del mix è certamente uno dei grandi punti di forza di questo album, ma vorrei soffermarmi anche sul concetto di spazio. Raramente le tracce all’interno di questo disco soffrono di un accavallarsi eccessivo di suoni, anzi, hanno sempre tutto lo spazio del mondo per respirare, per esitare, rallentare e poi riprendere il passo proprio come succede in Heart Skips a Beat e Islands.

Riascoltando questo album adesso, a più di dieci anni di distanza, è facile ritrovare alcuni dei suoni e delle atmosfere che hanno segnato tantissimi generi diversi negli ultimi anni, dall’R&B al pop alla musica elettronica, che poi son gli stessi generi da cui gli stessi XX, al tempo appena maggiorenni, avevano tratto ispirazione, creando però un sound che, al tempo, era nuovo, diretto e terribilmente intimo, sensuale.

Confessionale notturno

L’intimità e sensualità delle composizioni all’interno dell’album vengono riprese anche nei testi, con Romy e Oliver che si alternano, cantando delle rispettive esperienze nella sfera emotiva, scambiandosi una confessione dopo l’altra, in quello che erroneamente potrebbe sembrare un botta e risposta continuo.

 Quello dei due ragazzi londinesi, entrambi omosessuali, è invece uno scambio che ciascuno rivolge a qualcun altro, dove il sesso del destinatario del messaggio non è nemmeno specificato (non ci sono him/her o he/she, soltanto you), trasformando il reame sonoro di questo album in un confessionale che al suo interno accoglie messaggi universali e a cui relazionarsi diventa quasi automatico, tagliando le distanze tra chi canta e chi ascolta e rendendo l’esperienza di ascolto ancora più intima, personale. 

Penso a Shelter, dove Romy cerca di rimediare ad un errore, dove cerca di ricucire un rapporto, chiedendo al suo interlocutore e forse pure a sé stessa, se ci sia qualcosa che può fare per ottenere un riavvicinamento delle parti. “Maybe I had said something that was wrong Can I make it better with the lights turned on?”

Qua la disperazione di Romy è palpabile e i due versi, nel loro ripetersi nella desolazione strumentale del pezzo, colpiscono in pieno. Che si tratti del dolore di non riuscire a confessare i propri veri sentimenti come in Night Time o che si tratti di riuscire a superare ed accettare la fine di un rapporto come in Infinity, i messaggi degli XX sono brevi, essenziali e diretti, giocano sulla ripetizione continua per riuscire ad arrivare dritti a chi ascolta, e raramente falliscono nel loro intento.

Questo album di esordio non è perfetto, perché in alcune tracce ci sarebbe sicuramente stato spazio per una produzione musicale un poco più dettagliata e profonda, però nonostante la sua semplicità è riuscito a segnare il panorama musicale indipendente (e non) in maniera tangibile, riconoscibile, identificabile , reggendosi sulle spalle delle confessioni di un gruppo di ragazzini londinesi che cantano di quelle cose che, come direbbe Vasco Pratolini, ci si dicono a bassa voce. Dalla sua uscita sono passati 12 anni, ma la sua estetica già dopo poco era cementata nel nostro immaginario, e questo disco si era ritagliato un posto nell’olimpo del pop di matrice più indie, un posto che non credo potrà perdere mai.

Matteo Cioni

 

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