Le migliori uscite discografiche della settimana| 9 aprile

Grande ventata di freschezza e di accattivanti sonorità in questa settimana. In cima alle nostre preferenze piazziamo gli ottimi lavori degli Small Black e dell’interessante indie-folk della giovane Skullcrusher. A seguire prestate attenzione ai Silver Synthetic, agli Spirit of the Beehive, a Claire Rousay, al folk di Elephant Micah, e infine gustatevi il raffinato ambient di Lawrence.

a cura di Giovanni Aragona, Stefano Bartolotta e Paolo Latini

13:12:27  – 09/04/2021



SMALL BLACK – CHEAP DREAMS
(dream-pop, chillwave)

Un disco che abbiamo letteralmente consumato di questa band tornata in vita a distanza di sei anni. La band si è formata nel 2009 e ha sempre preferito il silenzio ai tanti clamori. Cheap Dreams può già tranquillamente occupare la personale top 10 dei migliori dischi del 2021, occorre consumare bene questi 43 minuti per rendersi conto del potenziale di questo lavoro.

Sensuale, leggero e dolcemente sincopato, questo album ha l’architrave dream pop e il sapore dolce di un pop mai banale. Undici canzoni capaci di contenere almeno quattro perle (Tampa e Duplex su tutte) vale l’intero costo dell’album. Il suggerimento migliore che possiamo offrire è quello di godersi questo disco chiudendo gli occhi e lasciandosi trasportare dal flusso di ricordi remoti tra corde vellutate e timbri vocali radiosi. Scoprirete un muro sonoro splendente e sereno.
(G.A)


SKULLCRUSHER – STORM IN THE SUMMER – EP
(songwriting, indie-art-folk)

Skullcrusher è il moniker della losangelina Helen Ballentine, ed è solo al secondo EP, ma merita già una certa considerazione, tanto che un’etichetta sempre attenta ome la Secretly Canadian l’ha inclusa nel proprio roster fin dall’inizio. Si dice che queste cinque canzoni siano il prodotto di un’estate depressa passata con la musica di Nick Drake in loop, e certamente lo si nota non solo perché una canzone è espressamente dedicata a lui.

C’è anche altro, però, perché la Ballentine si inserisce alla perfezione in un punto che sta da qualche parte a metà tra i Diet Cig e Snail Mail, quindi in definitiva la sua proposta è un mix personale e ben riuscito tra le armoniche complessità del classicismo proprio di Drake e il filone moderno del bedroom pop che alza la testa e amplia gli orizzonti. Davvero un nome da segnarsi in tutte le agende e da seguire con la massima attenzione.
(S.B)


ELEPHANT MICAH – VAGUE TIDINGS
(folk)

Joseph O’ Connell, dal North Carolina, pubblica musica sotto il moniker Elephant Micah dal 2008, e questo lavoro in realtà arriva da ancor più lontano, ovvero prende ispirazione da un tour improvvisato e affascinante in Alaska nel 2006. Va da sé che si tratta di un lavoro folk alla vecchia maniera, ovvero per nulla melodico e che punta tutto sulla suggestione data da arrangiamenti scarni ma mai spogli, timbro vocale espressivo e testi evocativi.

Certamente siamo ormai lontani dai tempi in cui questo modo di fare musica aveva vissuto una stagione di revival alla fine del decennio Zero, però è sempre un piacere ascoltare dischi così, senza compromessi ma, a loro modo, accomodanti con l’ascoltatore, che creano un mondo con coordinate stilistiche talmente esplicite che, da un lato, fanno subito capire che non c’è spazio per ammiccamenti, ma dall’altro danno una fortissima sensazione di genuinità e calore, in modo che venga facile empatizzare con l’autore. Non manca nemmeno la varietà in un lavoro davvero ben riuscito e che si lascia ascoltare con piacere dall’inizio alla fine.
(S.B)


SPIRIT OF THE BEEHIVE – ENTERTAINENT, DEATH
(alternative)

“L’intrattenimento non è una caramella o una birra,” scriveva Wallace, “l’intrattenimento è cieco.” L’intrattenimento uccide, ottunde, ti abitua alla normalità. Non so se Zack Schwarts e Rivka Ravede abbiano letto Wallace (sembrerebbe di sì da versi come “Entertainment only remains, while I keep descending/Who Will decipher pain form the lie?”) ma di certo il titolo del quarto album dei loro Spirit of the Beehive sempre partire dalle stesse premesse. Ideale prosecuzione di una linea narrativa che era iniziata nel 2017 col loro secondo disco pleasure suck,  ENTERTAINMENT, DEATH è un disco che, come gli altri tre album degli Spirit of the Beehive, fugge ogni facile catalogazione, fugge l’intrattenimento facile e il songwriting lineare, e anzi, era davvero impensabile che dopo un disco tanto obliquo, folle, multiforme e dionisiaco come il precedente Hypnic Jerk riuscissero a fare qualcosa di altrettanto obliquo, folle, multiforme e dionisiaco.

E invece eccoli qui. Passati da Tiny Engines a Saddle Creek, hanno perso due elementi per strada, ma continuano a confondere e stupire: pezzi come “WRONG CIRCLE,” il pop mellifluo di “RAPID & COMPLETE RECOVERY” o la camaleontica “I SUCK THE DEVIL’S COCK” mescolano dream-pop, shoegaze, psichedelia estrema, noise, chitarre abrasive, screamo, sample e field-recordings in un delizioso viaggio ai limiti estremi della follia. ENTERTAINMENT, DEATH non è adatto a ascolti casuali e spensierati. Succede qualcosa che cattura la tua attenzione a ogni ascolto, e che a ogni ascolto ti apre una finestra su un mondo migliore del nostro.
(P.L)


CLAIRE ROUSAY – A SOFTER FOCUS
 (ambient)

Claire Rousay è molto attiva ultimamente: ha creato Catalytic Soundstream insieme a un nucleo di musicisti di avanguardia come Ikue Mori e Tomeka Reid, un servizio di streaming alternativo alla dittatura commerciale di Spotify e la sua insostenibilità economica oltre che estetica, ha sfornato collaborazioni più che interessanti, ultima delle quali con la musicista elettronica More Eaze, e è passata a American Dreams Records che ne ha ristampato e diffuso l’intero corposo catalogo. Ultimo titolo in questo catalogo, questo stupendo a softer focus, disco che nasce da una collaborazione multimediale con Dani Toral, che accompagna la musica con una serie di flauti di porcellana acquistabili insieme al vinile.

Musicalmente siamo nella zona dell’ambient intimista usata come auto-racconto, o come rappresentazione di una dialettica tra radici culturali e nuove aspirazioni, un programma non troppo lontano da quello che sorregge il pur bellissimo New Ruins di Marsha Fisher uscito a gennaio. Su a softer focus synth, tastiere MIDI e la voce di Claire Rousay si mescolano ancor di più con sprazzi sonori di vita quotidiana, cosa che Claire Rousay fa spesso e qui rappresentata da  registrazioni di rumori locali, frammenti di conversazioni,  oggetti che collidono. Tutto accompagnato da strumenti suonati da amici, come il violino di Macie Stewart su “diluted dreams” e quello di Alex Cunningham su “stoned gesture”e  il violoncello di Lia Kohl su tre delle sei tracce. Probabilmente è il disco più accessibile e compatto di claire rousay, e senza dubbio il suo migliore.
(P.L)


LAWRENCE, BIRDS ON THE PLAYGROUND
(ambient)

Lawrence è un dj e produttore co-fondatore di Dial Records a Berlino e Birds on the Playground è il suo quarto album, in uscita per l’etichetta giapponese Mule Musiq.  Birds on the Playground più che un disco sembra voler essere una vera e propria esperienza, la sublimazione estrema e completa di ciò che significa musica ambient. Le nove vignette che compongono l’album sono state pensate come un’ideale colonna sonora di sottofondo per una serata allo “studio mule,” un listening bar che il fondatore della Mule Musiq, Toshiya Kawasaki, ha aperto nel quartiere Shibuya a Tokyo, e dove si servono musica e alcolici.

Lawrence ha dato forma all’idea di musica da ascoltare in quel posto per lui semi-fantastico “leggermente ubriaco e con sempre un drink speciale in mano.” Musica ambient che mescola strumenti acustici, synth e field recordings, che unisce Berlino (e quindi l’occidente) con una versione estremamente rarefatta del Giappone.
(P.L)


SILVER SYNTHETIC – SILVER SYNTHETIC 
(psych rock, garage rock)

Dopo aver pubblicato nei mesi scorsi un ottimo EP, ecco il primo album dei Silver Synthetic. La band originaria di New Orleans è formata da membri di diverse band e ha il piglio dei navigati rocker. Questo disco sarà sicuramente un piacere per i fan del rock & roll miscelato da country-rock e un sacco di accattivanti armonie vocali.

Se siete nostalgici del rock vecchia scuola, quello partorito da amplificatori valvolari, giacche di renna, se vi appassionano le chitarre alla Verlaine il disco che fa per voi. Per chi scrive, non la tazza da te da bere alle 18, ma un discreto disco composto da otto canzoni carine ma nulla più. L’album è sicuramente piacevole e rilassato, ma, in 33 minuti, manca totalmente quel graffio interessante. Sarò la totale mancanze di chitarre elettriche feroci? Può essere. L’album scorre senza sussulti  ma non si impenna mai. Produce Third Man Records.
(G.A)


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