Le migliori uscite discografiche della settimana| 7 maggio

Primo numero di uscite discografiche del mese di maggio con in cima alle nostre preferenze i nuovi lavori di Weezer, Iceage, Vasco Brondi, Squid (disco della settimana) e l’house di India Jordan e il primo album postumo di Tony Allen. A seguire prestate attenzione a Carlos Niño, all’ambient di Green House, a Sophia Kennedy e il suo pop scanzonato e a Alfie Templeman. Per gli amanti dell’hip hop c’è L’orange, Namir Blade. 

12:16:38  – 07/05/2021

a cura di Giovanni Aragona, Stefano Bartolotta, Paolo Latini e Chiara Luzi



WEEZER – VAN WEEZER 
(rock)

Cosa ci si può aspettare dagli Weezer nel 2021? Una risposta plausibile la si può avere già dalla copertina di questo ennesimo disco della formazione capitanata da Rivers Cuomo, ovvero un po’ di sana pacchianeria che non cambierà certo le sorti della musica, o del mondo, o di quello che volete, ma sa dare un po’ di quelle vibrazioni positive che fanno sempre piacere.

Se siete degli oltranzisti, bollerete questo disco come ipertrofico e fine a sé stesso, altrimenti è molto probabile che questa mezz’ora di ascolto di regalerà una robusta dose di benessere e che lo andrete a cercare nelle giornate di sole quando vorrete una scarica di energica spensieratezza.
(S.B)


ICEAGE – SEEK SHELTER
(art-rock)

Se la fine degli anni ’70 ha consegnato alla storia la decadenza dei Joy Division, le future generazioni ricorderanno a lungo i lavori dei danesi Iceage. A dieci anni dal loro debutto, la band è giunta alla sua più totale maturità e questo Seeek Shelter è un disco perfetto suonato in maniera impeccabile.  Per questo lavoro insieme al chitarrista aggiuntivo Casper Morilla Fernandez e al collaboratore di lunga data Nis Bysted – c’è Pete Kember (alias Sonic Boom ).

Come capostipite dello shoegaze e membro di Spacemen 3, Kember cesella una combinazione accattivante restituendo un suono finale deciso e vario. Seek Shelter è un disco di difficile collocazione ma il suo art rock è una speranza per questa generazione sonora così incerta e promiscua. Difficile definire Seek Shelter un disco post-punk  semplicemente post-punk, sicuramente sarà capace di mantenere i fan della prima ora e attirare nuovi adepti. Bravi.
(G.A)


SQUID – BRIGHT GREEN FILD
(art-punk)

Direttamente da Brighton ecco l’esordio, atteso, degli Squid. Facciamo una premessa e vi diciamo che questo quintetto di strada ne ha fatta tanta e, dopo un EP e una manciata di singoli, sono riusciti ad entrare di prepotenza nel giro delle migliori band post-punk-revival in circolazione. Questo disco è stato capace di lasciarsi letteralmente senza parole. Bright Green Field è un dico che, solo in superficie potrebbe tanto rassomigliare al caos delle grandi metropoli nelle ore di punta, ma, mentre l’ascolto si fa più intenso il caos diventato organizzazione e sagacia.

Ogni brano, ogni martellante vibrazione di batteria, e ogni roboanti sintetizzatore è collocato con senso e pienamente calibrato. Provate a scovare una band capace di non rimane circoscritta alla strumentazione post-punk standard o alle forme di genere. Bright Green Fild è un dispensatore sonoro di atmosfere post-rock che si dilatano anche attraverso complesse linee di  jazz, come immersi in film noir come in una pellicola di John Huston. L’esordio che non ti aspetti e che, indiscutibilmente, farà parlare tanto. Prova non superata, molto molto di più.
(G.A)


VASCO BRONDI – PAESAGGIO DOPO LA BATTAGLIA 
(songwriting)

Il frontman delle Le Luci Della Centrale Elettrica torna a pubblicare un disco dopo 4 anni, di cui due passati a non scrivere nulla, iniziando la fase della propria carriera nella quale si propone col nome di battesimo. Siccome, però, l’autore delle canzoni è sempre lui, lo stile è sempre ben riconoscibile e un eventuale ascolto alla cieca ricondurrebbe immediatamente al suo nome.

In realtà, però, soprattutto rispetto agli ultimi due dischi, il suono è più scorrevole e compatto, più adatto, quindi, a un progetto solista, anche se, dalle dichiarazioni del protagonista, la sua realizzazione ha coinvolto un buon numero di collaboratori.

È sicuramente il disco più sobrio di Brondi, il più morbido, il più immediato, anche perché gli accenni di cantato che erano già apparsi nell’ultima fase del precedente moniker sono ancora qui e contribuiscono alle caratteristiche di cui sopra. Anche le parole sono piuttosto misurate, ed effettivamente il titolo del disco è abbastanza rappresentativo del suo contenuto: si ha l’impressione di avere a che fare con una persona e un artista che respira lentamente, si guarda attorno assorbendo la quiete dopo la tempesta e riflette. In conclusione, il disco risulta un indovinato mix tra la ricerca musicale di Costellazioni e Terra e la concisione e l’efficacia del debutto, e, almeno al primo ascolto, suona interessante e convincente.
(S.B)


INDIA JORDAN – WATCH OUT! – EP
(house)

La talentuosissima India Jordan è tornata a distanza di un solo anno dall’ultimo EP. Ventisei minuti come palliativo alla chiusura dei club e che potrebbe anche bastare per soddisfare le irrefrenabili voglie di legittimo movimento dopo più di un anno di forzatura chiusura.

India Jordan suona come una veterana del genere e in neanche mezz’ora è capace, non solo di mostrare i muscoli, ma di brillare in tutta la sua stravagante destrezza sonora padroneggiando ritmo costante dall’inizio alla fine. tra giocosità e calore, il suono frizzante di questa compositrice colpisce tanto per la freschezza e la varietà sonora proposta. La Jordan si conferma una delle sperimentatrici elettroniche più interessanti di questa generazione. In attesa di muoverci ai suoi ritmi, iniziamo a riscaldarci nei nostri salotti di casa. 
(G.A)


CARLOS NIÑO & FRIENDS –  MORE ENERGY FIELDS, CURRENT
(spiritual jazz/ambient)

Ormai Los Angeles è la capitale indiscussa per tutta quella musica racchiusa tra i confini dell’ambient, dell’elettronica sperimentale e del jazz spirituale. Una delle figure centrali in questo triangolo è senza dubbio il “grande saggio” Carlos Niño, percussionista che passa il tempo a ascoltare l’oceano, a parlare coi morti e a fare musica sempre di altissimo livello.  

Chicago Waves dell’anno scorso, registrato  insieme a Miguel Atwood-Ferguson, era uno spin-off, per certi versi, delle collaborazioni sull’asse Los Angeles-Chicago realizzate per Human Beings di Makaya McCraven e dove il contributo di Niño era stato  registrato nella casa di Altadena di Jeff Parker e proprio insieme a Arwood-Ferguson.  

Questo More Energy Fields, Currents può essere visto come  un secondo spin-off: una sorta di risposta tutta losangelina al disco collaborativo di Makaya McCraven. Carlos Niño si fa nuovamente fulcro e collante di collaborazioni con le nuove eminenze della scena californiana, nomi del calibro di Nate Mercerau, Jamal Dean, Sam Gendel, Jamire Williams, Aaron Shaw fino a sconfinare nella scena hip-hop con Jira><.

Quello che ne esce  è  l’evoluzione più umana e evoluta del jazz, qui totalmente emancipata da ogni tipo di virtuosismo infantile, e che non si vergogna di rinnovarsi con field-recordings, astrazioni quasi new age, beats hip-hop e  dilatazioni ambient. Più ascolti Carlos Niño, più capisci che è questa la musica di cui c’è bisogno oggi, domani, sempre.
(P.L)


TONY ALLEN – THERE IS NO END
(world music)

Lo scorso anno l’immenso Tony Allen lasciava fisicamente questo pianeta ma, fortunatamente, il suo spirito ha deciso di indugiare ancora un po’ nella dimensione di noi vivi. Allen ci regala oggi l’opportunità di ascoltare il suo genio musicale un’ultima volta con un importante disco postumo,  There Is No End.

Uscito oggi, con una settimana di ritardo rispetto a quanto annunciato, questo lavoro è uno splendido commiato completato dal produttore Vincent Teager. L’album raccoglie generi diversi che Allen maneggia con estrema facilità garantendo una grande coesione. Afrobeat, jazz, funk, jungle convivono perfettamente, si amalgamano grazie all’innato senso del ritmo del batterista nigeriano. C’è grande fluidità nei quattordici brani, questo ha  permesso ai numerosi artisti che hanno collaborato di creare un discorso unitario. La sinuosa One Inna Million puntellata dalla voce di Lava La Rue, fluisce con estrema naturalezza nella ruvidità di Gang On Holiday (Em I Go We?) con Jeremiah Jee.

Ottimo il funk di Rich Black, brano in cui troviamo Koreatown Oddity, così come i pezzi con Skepta e Sampa the Great. Forse dopo la morte non c’è una vera fine, di sicuro non cesseranno di esistere musica e bellezza. Ringraziamo Tony Allen, il suo spirito ed il suo genio, per avercelo ricordato.
(C.L)


L’ORANGE, NAMIR BLADE – IMAGINARY EVERYTHING
(hip hop)

Lo spirito di Hendrix sembra maneggiare la chitarra blues, calda e ruvida, che apre in grande stile il nuovo disco di L’Orange e Namir Blade. Il produttore e il rapper si uniscono sotto l’occhio visionario di Mellow Group e il risultato non delude le aspettative. Imaginary Everything possiede una forte presenza di sensuali vibrazioni blues e psichedeliche che sposano perfettamente il flow di Namir Blade.

Questo disco ha una forte personalità, la produzione di L’Orange e le rime di Blade trovano un punto di perfetto equilibrio garantendo all’ascoltatore un ascolto immersivo. La psichedelica Murphy’s Law ci sospende in un flusso lento, carico di colori accesi e vapori caldi. Le fanno da contraltare i bassi profondi e i samlpe di Gassed up, in cui compare Fly Anakin. Fra gli ottimi featuring segnaliamo Quelle Chris, Jordan Webb e Marlowe.
(C.L)


ALFIE TEMPLEMAN – FOREVER ISN’T LONG ENOUGH
(pop)

Musica leggerissima, anche troppo, quella del secondo lavoro in studio di Alfie Templeman. Esce oggi Forever Isn’t Long Enough mini album composto da otto brani che non aggiunge nulla di nuovo al vasto e sfaccettato mondo della musica pop. Il disco pesca a piene mani da sonorità anni ’80, non avrebbe affatto stonato nella scaletta pomeridiana di DeeJay Television.

Questo lavoro è solare, si addice perfettamente alla stagione imminente. I brani hanno freschezza ma l’ascolto scorre senza troppo clamore, soprattutto per chi gli anni ’80 li ha già vissuti. Esiste l’ottimo pop, quello che ha fatto e farà storia della musica, e poi c’è il pop che ci donerà un paio di tormentoni che sopravvivranno una stagione o poco più. Questo probabilmente sarà il destino di Forever Isn’t Long Enough.
(C.L)


GREEN-HOUSE –  MUSIC FOR LIVING SPACES 
(ambient)

E sbocciata proprio all’interno di quella ormai gloriosa scena losangelina, sul versante ambient astratto e lenitivo, c’è Olive Ardizoni. La giovane musicista si è messa in mostra l’anno scorso prima con l’eccellente ep Six Songs for Invisible Gardens e poi col progetto Galdre Visions, insieme a Diva Dompé, alla sitarista Ami Dang e all’arpista Nailah Hunter.
Date quelle premesse, c’era una certa curiosità attorno al primo album di Ardizoni, e Music for Living Spaces soddisfa le aspettative e ripaga quella curiosità: riprende il tema vivaistico-floreale già imbastito nel precedente ep e nei singoli usciti in mezzo (“Chysis” e la lunga “Passiflora”) e riesce al tempo stesso a dare una dimensione umana al tema naturale e una nota naturale alla dimensione umana.
“Rain” e “Find Home,” uniche tracce con un elemento vocale, chiudono con una nota aromonica anche complessa un disco che se da una parte perde un po’ del calore minimale, artigianale e fragile del primo ep, dall’altra guadagna in un suono più stratificato, dinamico e trascendentale.
(P.L)

SOPHIA KENNEDY – MONSTERS 
(pop)

Finalmente è tornata Sophia Kennedy, e è più fascinosa che mai. Era difficile fare un disco dopo il suo esordio del 2017 e c’era il rischio di ripetere il già detto e ripeterlo balbettando. Forse è per questo che si è presa un anno in libera uscita col progetto  Shari Vari, condiviso con Helena Ratka. Le è servito a ricalibrarsi, sfogare le propensioni verso l’elettronica più umbratile, e tornare a confezionare un altro disco pop per i contemporanei della fine del mondo.

Su Monsters c’è proprio tutto: canzoni da crooner in stile Tin Pan Alley (“Animals Will Come” e “Loop”), melodrammi vaudeville (“Francis”), venature soul (“Seventeen”), pop elettronico (“I Can See You Now” e la bowie-ana “Up”), persino un accenno di gospel (“Do They Know”) e un esercizio mccartneyano (“Chestnut Avenue”).

Tutto è rinnovato, se non nelle strutture almeno nei suoni, nei materiali e nell’intenzione. In questo senso Monsters continua il progetto del primo disco e mostra come si possa rinnovare un repertorio di generi classici e codificati senza violentarli, ma rivestendoli di nuovi colori. Per cambiare tutto basta cambiare veramente poco.
(P.L)


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