Le migliori uscite discografiche della settimana| 4 giugno

Prima settimana di giugno con notevoli uscite discografiche da segnalare. Dai Wolf Alice, ai James, Japanese Breakfast ai Rise Against. Prestate attenzione ai Dead Bandit, Liz Phair, ai Red Fang, ai nostrani News For Lulu e all’hip hop di Peter Rosenberg. Per finire, abbiamo ascoltato gli ottimi lavori di Meager Benefits, la new wave di Qlowski e il progetto elettronico targato Hotel Kali.

a cura di Giovanni Aragona, Stefano Bartolotta, Paolo Latini e Chiara Luzi

11:08:30  – 04/06/2021



WOLF ALICE – BLUE WEEKEND
(dream pop, psych pop)

Di fronte ad un grande successo molti artisti preferiscono fermarsi per un po’e capire bene quale direzione intraprendere per non rimanere affossati dal clamore. È ciò che è accaduto ai Wolf Alice che dopo la vittoria del Mercury Prize nel 2018 con Vison of a Life, hanno deciso di fermarsi per un po’ e respirare. La band inglese ha sentito la necessità di cambiare rotta, o meglio di ritrovare una connessione artistica che sentiva vacillare. Il risultato di questo lungo periodo di introspezione è Blue Weekend, loro terzo disco in studio.

Questo lavoro segna effettivamente un’evoluzione dello stile della band, mostrando che nuova linfa scorre fertile fra le note. Il disco ha un’anima dream pop, anche se in alcuni brani spiccano atmosfere punk, Play The Greatest Hits. L’avvolgente voce di Ellie Roswell unisce ogni pezzo di questo disco, sincero nei testi e nelle melodie che coprono diverse variazioni stilistiche. È un buon lavoro ma di sicuro non uno di quei capolavori che assestano colpi memorabili all’ascoltatore lasciando segni indelebili nel cuore.
(C.L)

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RISE AGAINST – NOWHERE GENERATION 
(hardcore punk, punk revival)

Chissà quanti lettori della nostra webzine sono grandissimi fan del punk revival ’90 di Nofx, Lagwagon, Millencolin … A voi, che ci leggete, non solo auguriamo il meglio, ma suggeriamo questo ultimo lavoro dei Rise Against, ventennale band di Chicago giunta al nono album in carriera. Diciamolo subito, questo lavoro piacerà solo ai fan del genere e non sorprenderà nessun altro. Il disco è prodotto da un’autentica leggenda del punk come Bill Stevenson (Black Flag, The Descendents), ed è ispirato ai problemi che i giovani affrontano oggi. Undici canzoni disseminate tra sentimenti di angoscia e rabbia espressi contro la ricerca della ricchezza del 21° secolo e l’incertezza del futuro, il tutto ai ritmi del punk revival in classico stile ’90.
(G.A)

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LIZ PHAIR – SOBERISH 
(Singer-Songwriter, indie-pop)

Liz Phair giunge al suo settimo disco in carriera e il primo in oltre un decennio. L’album è ben prodotto da da Brad Wood, che aveva già lavorato al debutto tanto acclamato dalla critica, Exile in Guyville, e al seguito, Whip-Smart. Questa volta le cose non vanno però così bene.  Soberish è una nostalgica parabola rivolta al passato sostenuta da un tentativo maldestro di recuperare alcune delle prime ottime cose che due hanno costruito in carriera. Tredici canzoni confuse di indie-pop annacquato infarcito da troppe idee, purtoppo poco riuscite.
(G.A)

 

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JAMES – ALL THE COLOURS OF YOU
(alt-pop)

Era da un po’ che non trovavamo la band capitanata da Tim Booth in buona forma. Gli ultimi due album non erano brutti, ma nemmeno particolarmente convincenti. Del resto, è normale in un periodo di attività così lungo (ricordiamo che il primo disco è del 1986 e questo è il numero 16), e, prima o poi, il talento fa tornare la qualità. Avrete già capito che i James sono tornati al proprio meglio, con melodie coinvolgenti, suoni azzeccati, una parte vocale emozionante e testi significativi. Tim ci parla di tematiche sia sociali (gli anni di Trump e gli incendi in California), che più legate alla sfera prettamente umana, tornando spesso sull’argomento che più lo ha appassionato negli ultimi anni, ovvero la morte. Lo fa nel modo in cui sa farlo meglio, ovvero con una veste musicale che mette addosso energia, positività e voglia di ballare, e il contrasto, come molte volte in passato, funziona a meraviglia. Questo disco è una rinfrescante cascata di melodie stupende e riflessioni di rara sincerità e genuinità.
(S.B)

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JAPANESE BREAKFAST – JUBILEE
(pop)

Michelle Zauner torna con il proprio moniker Japanese Breakfast dopo la doppietta di album usciti nel 2016 e 2017 che l’aveva portata a suonare anche in apertura agli Slowdive. La Zauner, però, qui cambia pelle e propone, come dice lei stessa, un disco tutto incentrato sulla gioia. L’eleganza e il tocco sognante sono rimasti, ma vengono messi al sevizio di canzoni puramente pop, quello nobile e senza tempo, quello che ti fa guardare il sole e inspirare forte, inalando aria fresca nelle narici. Cimentarsi in questo tipo di musica è sempre un percorso a rischio, ma la Nostra è ispirata e ha talento, così il risultato che produce è perfetto per questo periodo di tarda primavera, in cui abbiamo bisogno di vibrazioni positive ma senza ancora scatenarci in divertimenti sfrenati. 37 minuti semplicemente balsamici.
(S.B)

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NEWS FOR LULU – READY FOR WHAT
(nu-soul)

La band di Pavia torna con il proprio quarto album a sette anni dall’ultimo, e si propone in una veste piuttosto diversa rispetto al passato, che però ha dei collegamenti con lo stesso. La componente soul, infatti, aveva fatto capolino qua e là nel lavoro di questi musicisti, e la differenza è che ora assume decisamente il ruolo principale. Di conseguenza, abbiamo canzoni morbide, rotonde e rilassate e che, che anche quando spingono sul ritmo, non perdono il proprio carattere vellutato. Il tutto è ammantato da un suono che omaggia con toni contemporanei il soul classico, un’idea non certo nuova oggigiorno, alla quale i News For Lulu si accostano con l’idea comunque di mettere in mostra il proprio gusto e la propria personalità, riuscendoci. Il timbro vocale di Umberto Provenzani è sempre molto riconoscibile e fascinoso, le melodie sono lussureggianti e il dinamismo nell’utilizzo delle tastiere, dei fiati e della parte ritmica tiene sempre alta l’attenzione dell’ascoltatore ed è congegnato in modo da valorizzare al meglio l’impianto base delle canzoni. Questi nuovi Lulu sono una gioia per le orecchie e per l’anima.
(S.B)

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RED FANG – ARROWS 
(sludge metal, experimental rock)

Sono passati quattro anni e mezzo da quando la band ha pubblicato il loro album precedente, Only GhostsAl produttore Chris Funk, tornato dietro le quinte per la prima volta da Whales and Leeches del 2013, è attribuito il merito di aver portato la band in direzioni più selvagge e oscure. Tuttavia, il quartetto di oggi suonerà ancora familiare ai fan della prima ora. Il disco è intriso di tracce a tutto gas tra cavernose cavalcate alla Melvins (Unreal Estate) e brevi, acuti lisergici come in Rabbits In Hives. Dagli inferi emergono  i soliti oscuri e claustrofobici Red Fang, con qualche sintetizzatore sottile in più, ma sempre con il solito appeal minaccioso e roboante.
(G.A)

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PETER ROSENBERG – REAL LATE
(hip hop)

Esce oggi Real Late, l’opera prima del poliedrico Peter Rosenberg. Dj radiofonico, conduttore tv e wrestler professionista, Rosenberg ha sempre ascoltato moltissima musica hip hop che riproponeva nei suoi show radiofonici. Questa sua importante formazione musicale è alla base della struttura solidissima di Real Late, in cui è forte l’influenza del hip hop più classico. I tredici brani sono molto coesi e permettono al disco di fluire perfettamente, catturando l’ascoltatore. Uno dei punti di forza di questo elegante lavoro sono i numerosissimi featuring fra cui spiccano dei giganti, Westiside Gunn, Ghostface Killah, Roc Marciano e soprattutto Method Man che brilla in Next Chamber. Con questo lavoro Peter Rosenberg ci consegna quell’hip hop fatto di sostanza, veramente gustoso da ascoltare.
(C.L)

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DEAD BANDIT – FROM THE BASEMENT 
(elettronica – post-rock)

Terza uscita per la fiorentina Quindi Records e terzo tassello nello scacchiere dell’elettronica di confine. I Dead Bandits sono un duo formato dal cantautore di Chicago Ellis Swan e dal polistrumentista canadese James Schimpl, e From the Basement è il perfetto incontro del folk cavernoso e fumoso di Swan con l’universo post-rock influenzato dal catalogo Constellation.
Spesso sembra di sentire una versione aggiornata degli Explosions in the Sky, con strumenti acustici che si sposano alla perfezione con i linguaggi dell’elettronica (“These Clouds”), altre volte si avvicinano a una versione più polverosa dei Tortoise (“Mud,” “Untitled”), altre volte sembra un curioso connubio tra il Neil Young più acido (influenza dichiarata) e i suoni desertici e aperti dei Mojave 3 (“Crickets”), altre ancora sembra di sentire un Morricone in salsa folktronica (“Valentine”). Il risultato è un disco  difficile da catalogare ma facile da ascoltare e facilissimo da apprezzare. Bellissime le linee di basso che pulsano vive per tutte le dodici tracce.
(P.L)

MEAGER BENEFITS – STATION
(darkwave – coldwave) 

Meager Benefits è il moniker di Théo Parlier, qui al suo quarto album (dopo Album, Destrucrive Cycle e Crawling), e è il secondo per Hidden Bay, etichetta di Tolosa che, vale la pena ripeterlo, rappresenta il meglio del pop europeo in perfetto equilibrio tra tradizione e attualità (Death of Pop, Special Friend, Walk Home Drunk, per nominare alcune delle ultime pubblicazioni). Con Meager Benefits siamo nei territori nati dalle ceneri della new wave più tetra, tra cold- e dark-wave: voce asettica e claustrofobia, bassi in prima linea dietro una drum machine precisa e robotica e occasionali sprazzi di melodia, come nell’orientaleggiante “Unpleasant Glow.” “Lies” evoca i Joy Division di Closer.
(P.L)

Bandcamp 

 


QLOWSKI – QUALE FUTURO?
(new wave)

Siamo nell’epoca del recupero, e se i mercati sono invasi da post-punk che non è né post-  né punk, è bello sentire un disco che non si vergogna di essere new wave nel migliore dei modi. Gli italiani (almeno in parte) Qlowski riprendono la formula della new wave dei Simple Minds di Real to Real Cacophony e Empires and Dance, con gli intarsi di tastiere e basso che si sposano con elementi kiwi-pop.
L’estetica di fine anni ’70, degli anni di piombo, della grafica stencil  viene fatta sposare con i sapori romantici della new wave imbevuta di tastiere dei primi anni ottanta, la voce metallica e distaccata di Michele Tellarini, a metà tra un giovane Jim Kerr e un Robert Smith più controllato, trova un delizioso contrasto con le note dreamy della voce di Cecilia Corapi, in alcune tracce i suoni si fanno più ossuti e angolari, fin quasi a entrare in territori glam e punk (“All Good”) e addirittura Yé-yé (“Larry’s Hair Everywhere”). Quale futuro?  è un disco che nasce nel passato e che usa il passato per parlare del presente che viviamo.
(P.L)

HOTEL KALI – HOTEL KALI
(elettronica)

Hotel Kali è un progetto nato quasi per caso, quando Theresa Stroetges, ossia Golden Diskó Ship, se ne va in India, a Kolkata, per un internato organizzato dal Goethe-Institut di Berlino. Qui incontra Varun Desai (5 Volts e Varundo) e tra i due inizia una collaborazione che assume fin da subito i sapori di una fusion tra occidente e oriente. Ai due si uniscono il bassita Debjit Mahalanobis e la cantautrice Suyasha Sengupta, già attiva come Plastic Parvati oltre che come front-woman dei The Ganesh Talkies.
Tra elettronica, kraut-rock, musica indiana, Hotel Kali è il punto di incontro tra due diverse concezioni della musica pop animate da un unico approccio. “Fake Horse” è una cover di un pezzo di Golden Diskó Ship, qui resa ancor più elettronica e più orientaleggiante, “Say When” nasce da un fraseggio mediorientale trasfigurato da sonorità occidentali, “Disco Shobar” unisce IDM a una versione indianeggiante del motorik kraut-rock, la lunga conclusiva “Calm-Storm” è forse il pezzo che rappresenta al meglio l’amalgama delle quattro individualità al lavoro e la traccia che unisce al meglio tradizione indiana e futuribilità occidentali.
(P.L)

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