Le migliori uscite discografiche della settimana| 30 aprile

L’ultimo numero di aprile ci regala soddisfazioni e tantissimi album da consumare in attesa di tornare presto alla normalità. In questo numero vi raccontiamo del ritorno in pista dei Teenage Fan Club, dei Manchester Orchestra, di Royal Blood, di due mostri sacri come Marianne Faithfull e Warren Ellis e dell’ottimo lavoro confezionato da Leon Vynehall.

A seguire prestate attenzione alla colonna sonora di Yasuke firmata Flying Lotus, al danzereccio disco di Róisín Murphy, all’alternative dei Crumb e all’ambient targato Joseph Shabason. Infine, prestate orecchio ai Fresh, all’esordio solista di Rachele Bastreghi, ai Barbarisms e a Shelly FKA DRAM

a cura di Enrico Amendola, Giovanni Aragona, Stefano Bartolotta, Patrizia Cantelmo e Chiara Luzi

12:39:46  – 30/04/2021



TEENAGE FANCLUB – ENDLESS ARCADE
(indie-pop)

C’era curiosità di rivedere la storica band scozzese all’opera dopo l’abbandono di un membro chiave come Gerald Love. La formula, com’era logico aspettarsi, non è comunque cambiata granché, ma l’assenza di Love si sente nelle armonie vocali che perdono un po’ della loro proverbiale ampiezza e anche in un suono a cui manca quella profondità che Gerard sapeva dare col proprio basso.

Nonostante queste mancanze, il disco si lascia ascoltare più che piacevolmente: le melodie sono indovinate, il sound ha la giusta compattezza e, anche se questa versione dei Fannies è un po’ più umbratile e meno avvolgente, se vi piacciono non rimarrete delusi. Ecco, magari non è questo il disco che farà acquisire nuovi fan alla band, ma non credo proprio che a loro interessi in alcun modo.
(S.B)


MANCHESTER ORCHESTRA – THE MILLION MASKS OF GOD 
(rock)

La band di Atlanta, al sesto album in carriera, continua nel proprio percorso fatto di rock energico, epico ed emotivo. Il suono è pieno e ambizioso, con momenti in cui tutti gli strumenti viaggiano a pieno regime e altri in cui invece si rallenta il ritmo e si abbassa l’energia per evocare atmosfere più introspettive, sempre però con una forte intensità emotiva.

Il rischio di esagerare con la magniloquenza c’è sempre in questi casi, ma qui viene superato brillantemente: ogni cosa è al proprio posto, senza sovrabbondanza, e vengono in mente altri esempi virtuosi di band che sanno proporre musica di alto profilo con credibilità, come i Mew o i Silversun Pickups. Un disco, in definitiva, ben riuscito, capace di dare all’ascoltatore quell’adrenalina di cui c’è bisogno in questo periodo in cui stiamo cercando di avvicinarci alla normalità.
(S.B)


FRESH – THE SUMMER I GOT GOOD AT GUITAR |EP 
(indie-pop-punk)

Tra i nomi più caldi della scena indie-pop-punk londinese, i Fresh tornano con questo EP che sicuramente non mostra una band troppo interessata ad evolversi, però ci regala altre cinque belle canzoni, con la voce di Kathryn Woods che si appiccica al cervello dopo un secondo e non se ne va più, melodie ispiratissime e un suono che, semplicemente, trascina e fa stare bene. Tra energia, morbidezza e testi che si alternano bene tra sfrontatezza e senso di smarrimento.

C’è comunque una discreta varietà in questo EP, che presenta le diverse anime della band e può essere un buon punto di inizio alla scoperta non solo dei Fresh, ma di tante altre band del loro giro che fanno musica, come detto, non originale e innovativa, ma bella e sincera (Colour Me Wednesday, Tuts, Cheerbleederz, Happy Accidents, Personal Best, ecc…).
(S.B)


RACHELE BASTREGHI – PSYCHODONNA
(songwriting, art-pop)

Dopo l’ottimo lavoro del 2015, con relativi live bellissimi e suonati da una band di grandi musicisti, la voce femminile dei Baustelle torna con un lavoro piuttosto diverso, più elettronico e, allo stesso tempo, più personale e sentito. L’autrice dice semplicemente che “è un disco che racconta il mio viaggio interiore, un volo intimo e faticosamente libero” ed effettivamente il contenuto del disco rispecchia perfettamente queste parole.

C’è ritmo, ma non è certo un lavoro fatto per essere ballato; c’è un senso di sofisticato disincanto, ma in realtà Rachele si mette a nudo con molta franchezza e senza compromessi; presente poi un sound internazionale ma non si possono legare le profonde radici legate alla canzone italiana. Un disco dalle mille sfaccettature, quindi, magari non da ascolto quotidiano, ma certamente ben fatto, stimolante e affascinante.
(S.B)


BARBARISMS – ZUGZWANG 
(folk pop)

Zugzwang”, il nuovo lavoro della band un po’ americana e un po’ svedese, mutua il proprio titolo da un termine utilizzato nel gioco degli scacchi che sta ad indicare una situazione in cui il giocatore, qualunque mossa faccia, è costretto a subire una perdita o uno scacco matto. Una premessa più acre che dolce, che si muove elegante tra i nove brani di stampo folk pop in scaletta, delineando dolci melodie acustiche ed armonie vocali senza tempo.

Un album sospeso tra sentimenti in bilico e paesaggi di una bellezza che preferisce scale di grigio e tiepidi colori pastello. Quella malinconia necessaria per addolcire il peso della perdita di qualcosa che inevitabilmente ci è sfuggita di mano e ci ha costretti in un angolo senza via di uscita. Un ascolto consigliato a tutti quelli che, almeno una volta nella vita, non hanno avuto possibilità di scegliere e hanno dovuto rinunciare a qualcosa.
(E.A)


RÓISÍN MURPHY – CROOKED MACHINE
(elettronica, house)

È venerdì notte, state per entrare in uno di quei locali un po’ nascosti, con la pista da ballo affollata e le luci basse. Mentre entrate iniziate a sentire i bassi densi che riverberano nello stomaco e vi trascinano irresistibilmente verso il centro di quella piccola pista in cui inizierete a muovervi al loro ritmo. Tutto questo ci manca tantissimo. A saziare questa irresistibile voglia di ballare ci pensa la sempre eccellente Róisín Murphy con il suo ultimo lavoro Crooked Machine.

Il disco, prodotto dal suo fidato collaboratore Crooked Man aka Richard Barratt aka Dj Parrot, è una reinterpretazione del suo precedente album Róisín Machine uscito lo scorso anno. Pur essendo un album di remix, questo disco vive una propria vita più oscura e affascinante. Barrat  fa un lavoro incredibile con tutti i brani, rende la voce della Murphy onnipresente trasformandola in calda texture perfettamente aderente al suono. Crooked Machine è magnetismo puro, non rimane che alzare il volume e ballare.
(C.L)


FLYING LOTUS – YASUKE
(Soundtrack)

Yasuke è il nuovo anime uscito ieri su Netflix che racconta la storia vera di Yusufe, uno schiavo africano arrivato in Giappone nel 1500 e diventato samurai con il nome, appunto, di Yasuke. L’omonima colonna sonora dell’anime è opera di Flying Lotus, samurai visionario dei nostri giorni. L’album è composto da ventisei brani, tutti abbastanza brevi, ed è stato definito da Lotus il suo ‘synthtizer album’. Per realizzarlo ha usato pochi strumenti fra cui lo stesso modello di tastiera usata da Vangelis in Blade Runner.

Il risultato è un disco alla Flying Lotus in cui convivono suoni di un passato lontano e visioni un futuro percepibile solo a Ellison. L’album scorre di pari passo alla storia del samurai Yasuke delineandone l’evoluzione.

Sonorità elettroniche si fondono con tamburi orientali, Fighting Without Honor, segnano pathos e ascesi, Hiding in the Shadow. Denzel Curry, Niki Randa e Thundercat sono le perle preziose che Lotus incastona nel manico della sua spada da samurai. Questo lavoro è l’ennesima conferma che Steven Ellison è l’artista che più di tutti riesce a raccontare la complessità del presente aprendo squarci su quello che sarà il futuro.
(C.L)


MARIANNE FAITHFULL with WARREN ELLIS – SHE WALKS IN BEAUTY
(spoken word)

Tanto intensa quanto inevitabilmente monocorde questa ultima opera della leggenda Marianne Faithfull accompagnata per l’occasione da Warren Ellis. Il musicista dei Bad Seeds si occupa di realizzare un contrappunto sonoro a una sorta di immaginaria passeggiata nell’arte poetica della terra d’Albione, in cui la Faithfull declama le parole di grandi autori come Shelley, Lord Byron, Keats fra gli altri. Un’aura di sacralità percorre tutto il lavoro realizzato rigorosamente in spoken-word: più che la bellezza delle composizioni musicali un po’ scontate per quanto suggestive (a cui hanno contribuito altri artisti, fra cui Nick Cave e  Brian Eno) colpisce la rarefatta atmosfera senza tempo da mondo ultraterreno, giusto tributo a tali vette artistiche.
(P.C)


ROYAL BLOOD – TYPHOONS
(alternative rock)

Terzo disco per la band di Brighton che fin dal suo esordio omonimo ormai sette anni fa è stata considerata la next-big-thing da stampa e soprattutto pubblico inglese, facendo incetta di primati da classifica. Il duo composto da Mike Kerr (basso e voce) e Ben Thatcher (batteria) non perde la chiara vocazione per un rock diretto e facilone, dai riff danzerecci e radiofonici, qui sempre meno asciutti rispetto al passato.

In questo lavoro strizzano persino l’occhio più al funk e al dancefloor che al blues e se gli riconosciamo un indubbio talento per la composizione di pezzi perfetti per questa specie di rock mainstream (un incrocio fra Muse e Black Keys annacquati) rimaniamo un po’ indifferenti e persino infastiditi di fronte a una mancanza sostanziale di originalità e spessore artistico. Tutto sommato, una sicura botta di energia, se è questo ciò che cercate.
(P.C)


SHELLEY FKA DRAM – SHELLEY FKA DRAM
(R&B)

Spesso accade che la carriera di un musicista arrivi ad un punto in cui avviene un cambiamento più o meno radicale. Questo capita quando l’artista cresce, cambia umanamente o semplicemente perché è fisiologico evolvere. Nel caso del rapper anglo tedesco, Shelley FKA DRAM, il momento della svolta è rappresentato dalla perdita della madre che lo ha portato a intraprendere una strada nuova, sia come persona che come musicista.

Oltre al cambio di nome da DRAM in Shelley FKA DRAM la trasformazione è percepibile in questo nuovo lavoro uscito oggi. Stilisticamente siamo davanti ad un passaggio più netto all’R&B. L’artista abbraccia sonorità più morbide e lente in grado di raccontare questo nuovo percorso umano in cui l’amore assoluto e l’importanza di prendersi cura di sé sono al centro di tutto. Shelley è di nuovo innamorato della vita, questi i brani morbidi ed eleganti sono il suo modo di celebrare la bellezza. Ottimi i featuring con H.E.R, watt, Summer Walker e Erykah Badu.
(C.L)


LEON VYNEHALL – RARE,FOREVER 
(elettronica, IDM, techno)

Bravi quelli di Ninja Tune a non lasciarsi scappare un talento come Leon Vynehall,al contempo bravo l’artista inglese a confezionare un nuovo album pieno di spunti e pienamente gustoso. Rare, Forever ingloba alcune delle ballate dance più astratte che siano mai state prodotte in questi ultimi anni realizzate con cura e maniacale precisione. L’artista si discosta (e di tanto) dalla nostalgica deep house di precedenti lavori e sposa tracce spigolose e percussive alla Joy Orbison “bagnato” di Floating Points. 

Bassi muscolosi, sintetizzatori sospesi nel vuoto, glitch mai banali, questo secondo album dell’artista originario del Kent è un vero gioiello. Spinge tantissimo nella seconda metà del disco sposando un taglio funky IDM, manipolato e ben architettato. Un lavoro coraggioso capace di catapultare l’artista in uno spazio esplorativo variegato. Rare, Forever è un meraviglioso tuffo nell’astratto che durerà nel tempo.
(G.A)


CRUMB – ICE MELT
(dream pop, psych pop)

Ci aspettavamo tanto dai Crumb dopo due EP e un disco. Il suono della band continua a rotolare dolcemente in una nebbia che nasconde sottili complessità. Onirici e fluttuanti, la musica di Crumb è solo apparentemente delicata in superficie ma in continuo mutamento e oscura mentre scende degli inferi del profondo.

Groove morbidi e riff sfocati in contesti dream e psych pop catturano anima e corpo in ogni brano di questa piacevole mezz’ora. Ice Melt è un disco ben pensato e al contempo intelligente in molte scorribande (suggeriamo la meravigliosa Retreat! sospesa tra una pellicola di Godard e un poliziottesco italiano ’70).  Tra ritmi troppo apatici e sincopati, Ice Melt, nel suo insieme, non ha però il graffio del “gran disco”. Tutto sembra ancora troppo acerbo e aspro in molti frangenti. Proviamo a riascoltare questo lavoro tra un paio di settimane e solo successivamente si potrà capire il suo effetto.
(G.A)


JOSEPH SHABASON – THE FELLOWSHIP
(ambient, avant-jazz)

Un viaggio ambientale all’interno della mente di Joseph Shabason attraverso suoni, rumori, e voci di bambini. Si apre così l’ottimo album del talentuoso Joseph Shabason, polistrumentista e compositore canadese noto soprattutto per suonare il sassofono e come membro di Destroyer e War on Drugs. Un disco che racconta il rapporto tra fede e spiritualità tra l’islamismo e l’ebraismo in un flusso di suoni e senza l’utilizzo del linguaggio. Geniale e coraggioso allo stesso tempo, The Fellowship potrebbe essere la perla nascosta di questa settimana. Un disco visionario arricchito da flauti, vibrafoni e persino dalla chitarra di Thom Gill, claustrofobico e originale che potrebbe anche piacere ai puristi del jazz sempre refrattari agli esperimenti e alle innovazioni.
(G.A)


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