Le migliori uscite discografiche della settimana – 27 marzo –

 

14:47:53  – 27/03/2020

I giorni di quarantena iniziano ad essere tanti, ma l’invito che vi rinnoviamo è sempre lo stesso: restate a casa ed uscite solo se è necessario. Diciamo la verità, questa generazione è chiamata alla prova più dura dal dopoguerra ad oggi. Ci stiamo sforzando in tutti i modi di mantenere la razionalità e affidiamo alla logica degli eventi il loro corso. Le nostre emozioni stanno giocando la partita più importante e anche se, stiamo sperimentando con i nostri occhi  cosa è la paura, non rassegniamoci e proseguiamo le nostre vite. La paura ci rende solo terribilmente umani. Ennesimo plauso va ai medici, agli infermieri e a tutti coloro sono impegnati attivamente a lottare contro questo nemico invisibile, noi vi siamo vicini. In tempi di quarantena la musica ci tiene più che mai compagnia e anche in questo week non mancano di certo le uscite. Finalmente è disponibile il tanto atteso nuovo disco dei Pearl Jam. Da un primo ascolto possiamo quantomeno garantirvi che l’orrore del precedente Lightning Bolt, è solo un ricordo.  

A sorpresa, nella giornata di ieri, è piombato un nuovo doppio lavoro targato Nine Inch Nails che riprende un vecchio progetto del 2008. Torna in pista ance Sufjan Stevens, qui in compagnia del patrigno Lowell Brams. A scorrere, in questa fittissima settimana di uscite, vi consigliamo una bella scorpacciata di atri dischi. Riecco i Dirty Projectors con un delizioso EP, l’ottimo pop rock di Waxahatchee, Nicolas Jaar, e soprattutto Dua Lipa. Abbiamo scavato molto a fondo e abbiamo “pescato” il duo electro ambient targato Daniel Avery /Alessandro Cortini, il post punk dei Deeper, il garage punk dei The Chats, Brian Fallon, San Fermin,  i Nap Eyes e l’hip-hop targato Knxwledge. Infine, dalla Spagna ecco i Band à Part. Buona lettura e buon ascolto. 

a cura di Giovanni Aragona, Stefano Bartolotta, Patrizia Cantelmo, Chiara Luzi , Vincenzo Papeo e Carmine Speranza


PEARL JAM – GIGATON 
(rock)

Attesissimo ritorno dei Pearl Jam, band continuamente on the road, che a distanza di ben 7 anni da ‘Lightning Bolt’ pubblicano un disco onesto, classico, più vicino ai lavori anni 80 di Bruce Springsteen che non ai loro dischi anni 90. Il dato che risalta è che il coinvolgimento ed il risultato artistico vanno di pari passo nei momenti più pacati ed avvolgenti (Seven O’Clock) rispetto a quelli di pura accelerazione che, al contrario, non appaiono molto freschi soprattutto per il missaggio che predilige la voce alla musica. I singoli finora rilasciati funzionano bene nel quadro generale e nel finale si registrano i risultati migliori (River Cross).
(C.S)


NINE INCH NAILS – GHOSTS V: TOGETHER + GHOSTS VI: LOCUTS
(instrumental, classica, ambient, soundtrack) 
“Ore ed ore di musica. Gratis. Un pò allegra e un po meno” , così Trent Reznor ha introdotto il nuovo materiale del celebre marchio NIN. Due lavori torrenziali e non molto dissimili tra loro che proseguono la serie I-IV del 2008 e risentono enormemente dell’infallibile connubio creativo con Atticus Ross che di recente ha musicato la serie TV Watchmen. E l’effetto ‘colonna sonora’ è quello più preponderante tra le fittissime trame che affollano queste composizioni. Mentre la parte V è più pysch che ‘fisica’, il disco VI ha senza dubbio un impronta più classica grazie a delle ipnotiche composizioni per pianoforte e ad un incedere meno statico (Run Like Hell).
(C.S)

 


SUFJAN STEVENS, LOWELL BRAMS – APORIA

(instumental, indietronica)
Ancora una volta, non banale il ritorno sulle scene del menestrello originario di Detroit. A questo giro Sufjan, in condivisione con il patrigno, licenzia un album strumentale di matrice prettamente sintetica che richiama il più nobile pastiche elettronico dei passati decenni (Boards of Canada è più che un riferimento). Un album che non mancherà di dividere l’ampia platea di cui gode il cantautore americano ma che sicuramente raccoglierà una massiccia dose di indulgenza visto il carattere prettamente episodico dell’uscita. Ad ogni modo difficilmente scalerà posizioni di gradimento nella sua discografia.
(C.S)

DUA LIPA – FUTURE NOSTALGIA 
(dance pop )
Che piaccia o meno Dua Lipa è la migliore artista dance pop di questa generazione e anche questo disco lo dimostra. Ogni canzone di Future Nostalgia è una hit e tutto è ben integrato. Prince, Moloko e Chic forniscono le basi di tutte queste 11 canzoni. Un disco che suona come un definitivo spartiacque del revivalismo della dance – pop e decreta definitivamente Dua Lipa, a regina indiscussa del genere.
(G.A)

DANIEL AVERY + ALESSANDRO CORTINI – ILLUSION OF TIME
(ambient – elettronica)

Il tempo è un illusione. Questo concetto, che scientificamente è stato teorizzato qualche anno fa da alcuni fisici, trova la sua alta espressione musicale nella collaborazione fra il producer/Dj Inglese Daniel Avery e il compositore italiano, già collaboratore dei NIN, Alessandro Cortini.L’alchimia che si instaura fra questi due fuoriclasse produce un disco fluttuante, mistico, composto da dieci brani carichi di intensità. L’album arriva dritto alla pancia e per 43 minuti il tempo come noi lo concepiamo si ferma, sospeso in una magnifica vibrazione sonora.
(C.L)

 


KNXWLEDGE – 1988
(hip hop)

La storia di questo disco è poesia. Nel 1988 la madre del piccolo Knxwledge usciva per andare al lavoro lasciando a casa il giovane prodigio con un sampler E-mu SP-12. Il risultato fu una produzione incredibile di beat che finirono su dei floppy lasciati poi in un cassetto. Facciamo ora un balzo ai giorni nostri. Knxwledge, ormai affermato rapper, riprende in mano quei floppy, li masterizza e li mixxa regalandoci 1988. Il disco è un ibrido favoloso che rispecchia il suono attuale ma è allo stesso tempo capace di catapultare chi lo ascolta ai primissimi anni ’90. 20 brevi brani che scorrono fluidi. Tra i featuring è presente il suo compare di vecchia data Anderson Paak.
(C.L)

 


THE CHATS – HIGH RISK BEHAVIOUR
(post-punk)

Un’altra band di post-punk diretto e senza fronzoli, citazionista quanto basta delle origini del genere condito da una spruzzata di punk più acido alla Damned. The Chats vengono dall’Australia e sono nati per puro divertimento, e per lo stesso motivo continuano a fare musica, senza intellettualismi. Circondati dall’hype per l’apprezzamento di Josh Homme e Idles, in questo debutto dimostrano di avere un tiro pazzesco e non deludono le aspettative: per 25 minuti vi sarà davvero difficile restare fermi.
(P.C)

 


NAP EYES – SNAPSHOT OF A BEGINNER
(indie -rock)

Il quarto disco dei canadesi Nap Eyes abbandona l’immediatezza delle istantanee guitar-pop a cui ci avevano abituati, per dilatarsi in canzoni più classiche, in cui troviamo in misura minore l’acidità più lancinante delle chitarre a favore dell’ariosità delle melodie. I figliocci dei Feelies ci spiazzano un po’, con un ambizione più marcatamente pop e canzoni meno abbozzate, ma nel complesso questo lavoro sembra mantenere alti gli standard della scrittura di Nigel Chapman.
(P.C)

 


DIRTY PROJECTORS – WINDOWS OPEN 
(art pop)

Nuova prova per i Dirty Projectors di David Longstreth, che pubblicano questo EP a distanza di due anni dall’ultima buona fatica. Windows Open funge da apripista per un nuovo LP in uscita quest’anno, e ci regala  quattro tracce art pop misurate e raffinate, con arpeggi di chitarre acustiche e voci femminili che si incastrano alla perfezione tra loro. Più misurato rispetto alle uscite degli ultimi anni a nome Dirty Projectors, è il materiale perfetto da ascoltare mentre si guarda una giornata primaverile dalla finestra, sognando la fine della quarantena.
(V.P)

 


NICOLAS JAAR – CENIZAS 
(ambient)

Terzo lavoro in studio, a nome di Nicolas Jaar, per l’artista elettronico-sperimentale di origini cilene. Cenizas è un grande album, un colpo bussato fortemente alle anime nere di questo mondo. Comincia con una sorta di gospel sintetico spettrale e procede cupo e solerte, andando a svegliare istinti molto negativi in tutte le tracce che lo compongono. Si balla molto poco, assomiglia più al suono marziale ultramoderno dei passi di un Caronte che stacca dal lavoro per fare una passeggiata. Provate ad ascoltare una traccia come Agosto tra pochi mesi: difficilmente uscirete per gustarvi il sole estivo. “Cenere alla cenere” , parafrasando il titolo del disco.
(V.P)

 


DEEPER – AUTO – PAIN 
(post -punk)

Tanto mestiere per questi ragazzi giunti al loro secondo album in carriera. Rispetto al loro esordio, il suono è diventato più cupo e arcigno, ma tutto funziona bene in un buon mix di 12 canzoni dalla spiccata attitudine post – punk. Molti i suoni “meccanici” ben distribuiti in tanta energia. Colpiscono gli astuti riff di chitarra “al vetro”, che fanno di questo album, un piacevole tuffo nel post punk da “Factory Records” ’80.
(G.A)

 


WAXAHATCHEE – SAINT CLOUD
(Pop-rock, songwriter)

Kate Crutchlow continua il proprio percorso che la sta portando a esprimersi artisticamente con un suono più da band che da artista. Questo “Saint Cloud” prosegue sulla strada intrapresa col precedente “Out In The Storm”, fatta di melodie rotonde, aderenza alla forma
canzone tradizionale e, come detto, arrangiamenti da vera e propria rock band. La differenza è che qui si lavora di cesello, non ci sono le saturazioni proprie del disco precedente, ma solo tanti arpeggi e tanti ricami. C’è, però, un aspetto che, da solo, basta per far sì che valga ancora la pena ascoltare la musica a nome Waxahatchee, ovvero, che le canzoni sono bellissime, tutte. È così importante che ci sia molto più convenzionalismo? Si sente così tanto la mancanza dell’intensità emotiva e della personalità? È difficile rispondere con convinzione in modo affermativo a entrambe queste domande, perché è vero che non è mai bello quando qualcuno che era così riconoscibile e coinvolgente si conforma così tanto a cose già fatte, ma ascoltando queste canzoni, non è facile accettare l’idea di rinunciarvi in nome dei principi di cui sopra. Per cui, prendiamoci pure la Waxahatche di oggi, capace, anche se è già al quinto album, di sfoderare bellezza estetica a getto continuo.
(S.B)

 


SAN FERMIN – THE CORMORANT II
(pop)

La creatura di Ellis Ludwig Leone, nel corso degli anni, è divenuta sempre meno versatile e sempre più dedita a un pop che unisce classe e facilità d’ascolto. Del resto, fin dall’inizio, delle tante facce del repertorio del progetto, questa è stata sempre quella che ha riscosso il maggior successo, e giustamente ora viene cavalcata sempre di più. Il problema è che, dopo tre album ottimi, la prima parte di questo quarto lavoro aveva mostrato un evidente calo di ispirazione, e le cose non sembrano andare meglio con queste nuove 8 canzoni. Intendiamoci, il livello complessivo è comunque più che soddisfacente e l’ascolto piacevole, ma dai San Fermin siamo abituati a una qualità più alta e a una capacità di farci vibrare. È un pecato doversi accontentare di 16 canzoni, considerando anche la prima parte, delle quali nessuna troverebbe posto nei citati tre dischi precedenti proprio per l’evidente gap qualitativo e di intensità emotiva. Se Leone ha deciso che il suo progetto dev’essere il più possibile pop, deve avvicinarsi molto di più al livello dei propri cavalli di battaglia, e se anche non avremo più un’altra “Sonsick” o un’altra “No Promises”, non è nemmeno giusto non avere più di quello che ci sta dando adesso.
(S.B)

 


BRIAN FALLON – LOCAL HONEY 
(Songwriter)

Terzo album solista per il leader dei Gaslight Anthem, che, per il progetto a proprio nome, lascia da parte l’attitudine a metà tra il punk-rock e bruce Springsteen propria della band e si concentra maggiormente sullo scheletro delle canzoni, rivestendolo di un suono molto più delicato, adattando a esso anche l’intensità del timbro vocale e amplificando, di conseguenza, l’aspetto introspettivo della propria scrittura, comunque presente anche nel repertorio del gruppo, ma qui molto più in evidenza. Il risultato convince a metà, nel senso che le canzoni sono indubbiamente ben fatte, ma la mancanza di intensità si nota troppo e lo stile sia melodico che vocale di Fallon sono proprio adatti, rispettivamente, a essere accompagnati dal suono deciso dei Gaslight e a un timbro più sanguigno e deciso, ovvero quello adottato nella band. Un disco del genere scorre via tranquillamente, ma quando finisce c’è più che altro voglia di riascoltare “The ’59 Sound”.
(S.B)

 


BAND À PART – TEMPLOS Y NEONES
(indie – pop )

Non so quanta familiarità abbiamo I lettori di Infinite Jest con l’indie-pop spagnolo, ma, nel caso non possedeste questa informazione, sono lieto di comunicarvi che, nella Nazione iberica, c’è una ricchissima tradizione. I capostipiti sono gli inarrivabili Le Mans, e, tra i gruppi attuali, i più importanti sono La Casa Azul e i Papa Topo. La Elefant Records, di Madrid, è senza dubbio l’etichetta più importante, e la sua ultima pubblicazione è il primo vero album  di questo duo.  Javi e Coral propongono mezz’ora di pop di grande immediatezza divisa in 10 canzoni nelle quali convivono, gomito a gomito, riferimenti al J-Pop, riverberi e saturazioni molto vicini allo shoegaze, strizzatine d’occhio ai Cure, dance anni ‘90 e raffinatezze alla Divine Comedy. Un vero e proprio Bignami di stili e culture pop messe insieme in un modo che più intrigante non si potrebbe, con la lingua castigliana che conferisce un ulteriore tocco di esotismo, in un pot pourri di influenze assemblato con classe e gusto non comuni.
(S.B)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *