Le migliori uscite discografiche della settimana | 25 settembre

La prima settimana autunnale del 2020 è di quelle da ricordare. Tantissime uscite discografiche da segnalare in questo piacevole settembre costellato da grandi ritorni e piacevoli scoperte. Iniziamo subito con gli Idles, giunti al terzo album in carriera, passando per Sufjan Stevens, i seminali Deftones, i Public Enemy e Bob Mould. Grande interesse intorno ai dischi di Thurston Moore e Will Butler degli Arcade Fire, così come vi segnaliamo due dischi provenienti dall’affascinante Svezia: Anna von Hausswolff e gli Stars In Coma. A seguire prestate attenzione ai nostrani MasCara, Profligate e il suo darkwave, l’hardcore di LandownerWax Chattels, la raffinata elettronica di Sophia Loizou, Khotin e il jazz targato Chiminyo.

09:25:18  – 25/09/2020

a cura di Giovanni Aragona, Stefano Bartolotta, Paolo Latini e Chiara Luzi 



KHOTIN – FINDS YOU WELL
(ambient)

Pare che la sempre ottima Ghostly si sia accorta di Khotin, ossia del producer elettronico Dylan Khotin-Foote, dopo che nel 2018 la sua prima cassetta autoprodotta, Beautiful You, totalizzò un’invidiabile media di 4.5 su Resident Advisor. Ne seguì una riedizione su vinile l’anno seguente e, ora, questo secondo album.

La formula è più o meno la stessa del disco d’esordio, e qui, anzi, le due anime di Khotin sono quasi separate: un lato elettronico che si avvicina al formato canzone e un lato ambient che se ne discosta. Il basso pulsante di “Groove 32” diventa il basso dilatato e calmo di “WEM Lagoon Jump,” così come le inflessioni quasi samba di “Ivory Tower” e di “Heavyball” diventano ariosi tappeti armonici su “Your Favorite Building” e “Shopping List.” Nel complesso tracce eteree e consolatorie, come da programma: quel “finds you well” del titolo è la formula di apertura di molta corrispondenza : “I hope this mail finds you well.” Un buon augurio più che mai necessario in questi tempi. Come la musica consolante e avvolgente di Khotin.
(P.L)


WAX CHATTELS – CLOT
(punk rock)

Halleluja! Dopo un bel po’ di dischi post-punk che in realtà vogliono essere solo pop-rock da radio e da classifica, ecco davvero un disco abrasivo e grezzo. E per farlo ci voleva una band neozelandese. E una band che facesse paradossalmente a meno delle chitarre. Gli ingredienti sono semplici: basso, tastiere e una batteria minimale. Il sound è sempre denso, come per il primo disco i Wax Chattels hanno cercato un suono che si avvicinasse il più possibile a quello di un live, stavolta reso ancora più duro e pesante dagli interventi di Ben Greenberg. E basti sentire i neanche due minuti di “Cede” che Amanda Cheng utilizza fino in fondo per urlarti addosso, o i droni che quasi seppelliscono “Spanners & Implements,” o ancora la quasi Shellac-iana “Yokohama.” Ecco, questo è proprio un disco che potrebbe piacere a Sua Maestà Steve Albini.
(P.L)

LANDOWNER – CONSULANT
(hardcore)

Hardcore — anzi no: a Steve Albini può piacere anche l’appena uscito Consultant dei Landowner. Ispirati al tempo stesso dalle ripetizioni di Philip Glass e dai toni di chitarra limpidi e ossuti degli Antelope, band semi-sconosciuta e semi-dimenticata che registrò il suo unico album con Ian McKaye per Dischord, i Landowner sono oggi il punto di incontro tra il post-punk ancora in odore di new wave dei Deeper e le strutture più nervose dei Protomartyr. Non solo, Josh Daniel e Jeff Gilmartin (batteria e chitarra) suonavano in un gruppo di derivazione prog, e qua e là si sente (per esempio nella King Crimsoninana “Mystery Solved”), come qua e là si sente l’apporto più heavy di Josh Owsley e Elliot Hughes (basso e chitarra). Tutto comunque gira intorno ai testi di Dan Shaw il cui scopo dichiarato è di “fare musica punk tanto abrasiva quanto quella di una qualunque band hardcore, ma con toni che siano iper-puliti.” Risultato raggiunto, direi.  
(P.L)

PROFLIGATE –  TOO NUMB TO KNOW
(darkwave)

Già attivo in diversi gruppi e sempre al crocevia dove si incontrano techno, dark, noise e industrial, Noah Anthony aka Profligate mescola le carte: si passa da tensioni verso il pop elettronico dei primi Depeche Mode (“Hang Up,” “Just a Few Things Wrong” e “A Little Rain” sembrano uscite da Construction Time Again) a asprezze molto più tetre e rumorose (“We Can Punish,” “Drink a Spider”). Quando ormai anche gli Ulver sembra corteggiare pubblico e classifiche, è bello sentire qualcuno che riscopre appieno la vena più impermeabile ai compromessi della vecchia new wave rinata in dark.
(P.L)


CHIMINYO – I AM PANDA
(jazz)

Forse non se ne sono accorti in molti, ma ultimamente nella musica elettronica di confine c’è un ben nutrito filone di veri e propri studi su ritmo e percussioni (Laurence Pike, Photay, Beatrice Dillon, Dan Drohan, tanto per fare dei nomi recenti). Chiminyo si spinge oltre: tranne le voci, prestate qua e là da un gruppo di amici, tutti i suoni di questo disco provengono da una batteria opportunamente collegata a un synth che innesca un campionatore e un qualche programma di conversione, così quelle che sembrano tastiere in realtà non sono tastiere, ma probabilmente dei charleston abbinati a qualche complicato sistema di sample, e il pianoforte non è un pianoforte, ma rullanti, casse e quant’altro opportunamente “istruiti” per riprodurre note di pianoforte a amplificare tutte le proprietà percussive di quello strumento.

Il risultato oltre a essere interessante, è estremamente vario e eccitante, visto che una foresta di suoni come questi non si è proprio mai sentita: a episodi più vicini alle radici jazz di Chiminyo (“Reachin’”) si possono sentire incursioni nei territori vintage dell’acid-jazz (“Breathin’”) e curiosi pezzi per pianoforte e field recordings (“…into the sunkiss…”) e divertissments di batteria dove il ritmo diventa melodia (“…higher together…”).
(P.L)


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