Le migliori uscite discografiche della settimana | 22 maggio

Il meglio delle uscite discografiche della settimana selezionate con cura dalla redazione di Infinite Jest. Buona lettura e buon ascolto.

11:46:14  – 22/05/2020


Uscite discografiche di spessore in questa settimana. In questo numero vi raccontiamo del quarto album in carriera dei The 1975, del salentino Andrea Mangia meglio conosciuto come Populous, dell’indie-pop dei Badly Drawn Boy, di Darren Haymam, dell’ex Charlatans Tim Burgess, e del folk-rock targato Indigo Girls. A seguire vi suggeriamo l’ottimo ambient targato Rafael Anton Irisarri, i Woods, il gustoso funk degli Haggis Horns, l’hip hop di Kota the Friend e al free jazz (con tanto hip hop) del trio Archie Shepp, Damu the Fudgemunk e Raw Poetic. 

a cura di Giovanni Aragona, Stefano Bartolotta, Patrizia Cantelmo , Chiara Luzi, Michele Ruggiero e Vincenzo Papeo


Uscite Discografiche


BADLY DRAWN BOY – BANANA SKIN SHOES
(indie-pop)

Possiamo essere fan dell’evoluzione musicale quanto vogliamo, ma noi fan di Badly Drawn Boy abbiamo sempre segretamente sperato in cuor nostro che Damon ci desse una nuova “Once Around The Block” o una nuova “Disilusion”, o una nuova “Pissing In The Wind”, che, insomma, tornasse ai fasti del debutto che proprio a giugno compie vent’anni. E non perché volessimo che il nostro idolo se ne stesse chiuso nello stile che ce lo ha fatto amare, ma perché è giusto, ogni tanto, riprendere ciò che si sa fare meglio e dargli una rispolverata, e questo vale anche per l’artista, non solo per i fan. Ebbene, il momento è arrivato, e questo Banana Skin Shoes è da ritenere, a tutti gli effetti, il nuovo “The Hour Of Bewilderbeast“, e quest’affermazione va intesa nel senso migliore possibile. Il senso melodico di Damon è brillantissimo, le armonie sono ammalianti, quella ritmica jazzata che sa creare solo lui seduce e avvolge. Diamo, quindi, un caloroso bentornato alla miglior versione possibile dell’espressione artistica di Damon Gough, ci voleva proprio.
(S.B)

TIM BURGESS – I LOVE THE NEW SKY
(indie-pop)

Quinto lavoro solista per il frontman dei Charlatans, probabilmente il suo più solare e vario. Si apre con un evidente omaggio a “Boys Don’t Cry” dei Cure proseguendo in un piacevolissimo continuum di pezzi pop agrodolci in perfetto stile brit che non stancano quasi mai. Puntellati dalla ritmica del piano e da strimpellamenti di chitarra senza pretese, rivelano una vena leggera e ariosa senza sconfinare nell’evanescente. Dalle suggestioni quasi danzerecce dell’ottimo singolo “Empathy for the Devil”, al crooner di “The Mall” e ai sintetizzatori vorticosi di “The Warhol Me” ce n’è per tutti quelli che amano le canzoni pop.
(P.C)


DARREN HAYMAN – HOME TIME
(songwriting, indie-pop)

Attivo dalla metà degli anni ’90, Darren Hayman ha dapprima pubblicato 5 album di inediti più un EP e raccolte varie di rarità assortite con gli Hefner, poi si è imbarcato in una prolifica carriera solista, in relazione alla quale è praticamente impossibile tenere traccia di tutti i vari progetti e collaborazioni collegati. Diversi dischi di Darren vanno al di là del concetto di scrivere canzoni in senso stretto, visto che sono più dei concept legati a periodi storici o altri argomenti specifici, ma qui, il Nostro ha dichiaratamente fatto sapere che aveva voglia di tornare all’arte della scrittura di canzoni. e, come sempre, l’ha fatto piuttosto bene, con il suo timbro vocale inconfondibile, la propria malinconia umbratile decisamente British e arrangiamenti asciutti adatti allo scopo che si era prefisso. Il disco viene definito come autobiografico e che parla di rotture di relazioni sentimentali, e quando lo ascolterete, vi sembrerà davvero di essere in un appartamento londinese con la pioggia fuori a pensare, appunto, alla fine delle vostre relazioni amorose, con quel senso di negatività che però, a seconda della vostra disposizione mentale, può anche risultare catartica.
(S.B)

POPULOUS – W
(tropical-synth, pop)

“Un nuevo amanecer” per Populous: con “W” invita tutti a prendere parte alla sua festa ideale, tra un rito sciamanico nel deserto e un drag ball, in perfetta sinergia con ben 14 ospiti (MYSS KETA, Cuushe, Sotomayor) provenienti da qualsiasi angolo del mondo. Dal Salento al Giappone, passando per Porta Venezia e Buenos Aires. Un album quasi adolescenziale nella sua brama di scoperta e libertà sessuale, spudoratamente ironico e più che mai queer, in cui la natura melodica e pop del producer italiano emerge definitivamente. Camaleontico e inclusivo, dalle mille facce, come quelle  – le riconoscete tutte? – che popolano la pista da ballo in copertina.
(M.R)

THE HAGGIS HORNS – STAND UP FOR LOVE
(funk, soul)

Il quinto album della band inglese è una perfetta lezione di funk classico che più classico non si può. Pochi slanci moderni o esperimenti particolari, ogni arrangiamento è però pienamente azzeccato e ad accompagnare la sezione fiati ci sono le ottime acrobazie vocali di John McCallum. Con reminiscenze reggae e soul volutamente anni ’70, gli Haggis si pongono come lo zoccolo più duro, più raw e più ostinato della scena inglese di scuola Mark Ronson, Jamiroquai, Amy Winehouse. Bravi.
(M.R)

THE 1975 – NOTES ON A CONDITIONAL FORM
(psych rock, indie-pop)

Siamo difronte all’ennesimo bluff dell’industria musicale o ad una band che ha trovato la giusta ricetta per sfondare? Diciamo che per i 1975 valgono entrambe le teorie. Una band che ha saputo mescolare generi e ha saputo ritagliarsi uno spazio nell’élite del rock merita un ascolto. Si affida a Greta Thunberg l’apertura e si chiude con una hit da radio commerciale: una parabola che al suo interno contiene (quasi) il vuoto. L’eclettismo è il marchio di fabbrica della band ma l’alt-rock proposto in passato (e che a tratti poteva anche funzionare) oggi lascia spazio a profonde riflessioni. Viviamo in una società in cui consumiamo tutto alla velocità della luce. Se a tutti piace tutto, non è sempre aspetto positivo. Questo concetto ha funzionato nei primi due album della band, ma oggi risulta l’elemento più incoerente, e contestualmente debole, di un disco che non lascia il segno (e non lasciare il segno in 22 canzoni è quasi da record).
(G.A)


INDIGO GIRLS – LOOK LONG 
(folk-rock)

Album numero 21 per le Indigo Girls. Siamo lontani anni luce dai tempi in cui il duo proveniente da Atlanta collaborava con i R.E.M. Nel 1989 le “ragazze indaco” proponevano una formula innovativa nella composizione dei brani, e i testi erano decisamente “contro” nei contenuti. Look Long, diversamente, ci propone un disco pieno zeppo di luoghi comuni: composizioni facili e prevedibili, stile bucolico, testi motivazionali al limite del sopportabile. Folk che sa di Country, proveniente dal Sud degli Stati Uniti, proprio come te lo aspetti nella forma. Aggiungete arcobaleni e unicorni. Guardate oltre, in tutti i sensi.
(V.P)


RAFAEL ANTON IRISARRI – PERIPETIA
(ambient)

Ogni composizione di Rafael Anton Irisarri è una pennellata delicatissima di un quadro espressionista. Anche in questo nuovo album continuano le lunghe composizioni di onde sonore struggenti che si muovono con lentezza per raggiungere sempre il cuore dell’ascoltatore sommergendo quest’ultimo di grandi emozioni. Un disco godibile e che ha, in Fright and Control, una delle tracce sonore “ambientali” più interessanti di questo 2020. Una cavalcata inquietante che sfocia in buco nero capace di trasportare in dimensioni temporali multiple. La teoria della relatività prodotta in suoni. Disco consigliatissimo.
(G.A)


ARCHIE SHEPP, RAW POETIC, DAMU THE FUDGEMUNK – OCEAN BRIDGES
(free jazz, hip hop)

La pubblicazione di Ocean Bridges è principalmente una questione di famiglia. Raw Poetic è un poliedrico rapper polistrumentista, nipote del leggendario sassofonista Archie Shepp. Raw costruisce una solida carriera e finalmente lo zio decide che i tempi sono maturi per collaborare. C’è però bisogno di un terzo elemento per completare la formazione ed è qui che si inserisce il produttore e musicista hip-hop Damu The Fudgemunk.

Il fine di Ocean Bridges è quello di riconnettere due generazioni di una stessa famiglia creando un metaforico ponte i cui mattoni sono il jazz crudo e puro, l’hip-hop e l’afro beat. L’improvvisazione è la struttura portante del disco, i brani sono liberi di muoversi in un flusso vibrante e coeso generando una costruzione sonora solida e di eccellente qualità.
(C.L)


KOTA THE FRIEND – EVERYTHING
(hip-hop, R&B)

Il secondo album in studio del rapper di Brooklyn rappresenta l’evasione mentale di cui avevamo bisogno in questo momento. Everything è un album facilmente godibile, costellato da suoni morbidi che si muovono fra downtempo e lo-fi. Kota costruisce su questi ritmi delle rime capaci di creare un gustoso flusso a cui abbandonarsi con immediatezza. Il disco è un lavoro omogeneo e ben articolato che consolida il talento di Kota. Tra i vari featuring segnaliamola presenza di Joey Bada$$, Bas, Braxton Cook.
(C.L)


WOODS – STRANGE TO EXPLAIN
(psych-folk)

La band di Jeremy Earle confeziona un nuovo capitolo della sua lunga carriera, iniziata in veste più lo-fi e cresciuta in complessità a partire dai lavori più recenti. Alle evidenti derivazioni folk in chiave psichedelica ha affiancato suggestioni afro e jazzy, con quel tocco freak che da sempre li contraddistingue. Questo undicesimo album è immerso nello stesso humus di “Sun City Eater” ma ne rimarca la vena più malinconica e riflessiva, anche nei testi, rispecchiando probabilmente le esperienze di vita degli autori (la paternità di Jeremy Earle e la collaborazione con David Berman, conclusasi tragicamente). Un disco pieno di significati, da esplorare ulteriormente, che si chiude con un ottima cavalcata strumentale (Weekend Wind)..
(P.C)


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