Le migliori uscite discografiche della settimana | 18 settembre

Sono queste le settimane discografiche che a noi piacciono e che ci fanno sobbalzare da un disco all’altro. In questo numero di uscite discografiche la nostra attenzione si è concentrata su una quantità di dischi importante ben centrifugata da ottima qualità. Sono tornati gli Oh Sees e il loro ottimo garage, così come segnaliamo il ritorno dell’indie-pop targato Cults, dell’art pop firmato Deradoorian e di Fenne Lily. 

A sorpresa i Sault hanno pubblicato un nuovo album. In questo numero vince la musica ambient con in cima alle nostre preferenze Sarah Davachi, Spencer Zahn e Josiah Steinbrick. Prestate poi attenzione all’indie-rock dei Dig Nitty, al lo-fi di Tim Koh, al R’n’B  di Demae e all’elettronica di Polygrim. Per gli amanti del hip hop segnaliamo Curren$y. Buona lettura e buon ascolto. 

12:53:35  – 18/09/2020

a cura di Giovanni Aragona, Paolo Latini e Chiara Luzi



SAULT – UNTITLED (Rise)
(psychedelic funk, dub)

Negli ultimi due anni, la musica dei Sault è arrivata sempre all’improvviso: nessuna intervista, nessuna foto, nessun video, nessuna apparizione dal vivo, nessuna voce di Wikipedia, una presenza sui social media superficiale e del tutto non interattiva. Dalla sua feroce apertura alla sua conclusione ingannevolmente dolce – il disco è un gioiello che si incastra immediatamente nell’olimpo dei migliori dischi di questo particolare anno 2020. Carezze, riflessioni e sofferenza in un misto di sonorità black che accarezzano l’anima.
(G.A)


FENNE LILY – BREACH
(Folk)

Il secondo lavoro della giovane Fenne Lily è una delicata meraviglia. In Breach ci si muove in punta di piedi, attraversando il vasto e complesso territorio della solitudine. ‘It’s not hard to be alone anymore’, questa nuova consapevolezza è il leitmotiv dei brani del disco, carichi sia di forza che di intimità. La calda voce, spesso impalpabile, della Lily è come un sussurro avvolgente che racconta il complesso percorso verso la maturità. L’album è segnato da un sound folk morbido che al momento giusto lascia spazio a chitarre più dure e grezze. La cantante di Bristol conferma il suo talento, trovando un posto d’onore in quello spazio estatico in cui gravitano artiste come Sharon Van Etten e Wayes Blood.
(C.L)


CULTS – HOST
(Indie Pop)

Segnato da una lunga genesi, tre anni, e una forte riscrittura, esce oggi il nuovo lavoro in studio dei Cults. Nel momento in cui, durante le sessioni di registrazione, la cantante Madeline Follin ha deciso di condividere con il collega Oblivion e il produttore Stoneback alcuni brani da lei composti anni prima, è stato subito chiaro che fosse necessario ridisegnare i cardini del disco. Host è un album affascinante che racconta le difficoltà del vivere contemporaneo, di come sia fondamentale ritrovare fiducia dopo essere stati ostaggio di relazioni tossiche. Il suono, modellato principalmente dai synth, è ancora ricco di suggestioni retrò che da sempre caratterizzano lo stile dei Cults, tuttavia ci sono nuove aperture che permettono a brani come No Risk di trovare spazio in questo solido disco.
(C.L)

 


CURREN$Y, HARRY FRAUD – THE DIRECTOR’S CUT (EP)
(Hip hop)

Dopo aver pubblicato il suo ultimo disco, The OutRunners, lo scorso luglio, Curren$y fa di nuovo coppia col suo fidato socio Harry Fraud consegnandoci questo gran bel lavoro. Al disco è applicabile il concetto filmico di ‘director’s cut’ in cui generalmente troviamo le scene e i personaggi tagliati dal film. La base di partenza è infatti il materiale di The OutRunners, di cui The Director’s Cut doveva inizialmente essere una costola, ma strada facendo i brani hanno iniziato a guadagnare vita propria. I nove pezzi contengono campionamenti carichi di stile ed eleganza, creando un mood retrò e molto fluido. Fra i vari featuring spicca il buon vecchio e sempre in forma Snoop Dogg.
(C.L)

 

 


OH SEES – PROTEAN THREAT 
(psych rock, experimental rock)

John Dwyer il camaleontico del rock. Sebbene possa essere difficile tenere il passo con tutti i cambiamenti di nome e le esplorazioni stilistiche, di una cosa siamo totalmente convinti: bisogna affidarsi totalmente alla coerenza e alla bravura di questo straordinario musicista. Pochi artisti sono capaci di andare così ostinatamente controcorrente, e ogni scorribanda sonora è un esercizio di stile notevole. Questo lavoro non farà il pieno di vendite ma si attesta come il caposaldo pionieristico della nuova ondata di psych rock.
(G.A)

 


DERADOORIAN – FIND THE SUN 
(art pop, indie-rock)

Si parla da anni ormai di Deradoorian e da subito vi diciamo che il grado in cui Angel ha stabilito un suono e uno stile così unico in così breve tempo è assolutamente notevole. Find the Sun crea un’atmosfera diversa dai suoi predecessori, sacrificando alcuni degli elementi più chiari e pastorali dei primi lavori lasciando libero spazio ad un art pop più oscuro e cupo. Questo lavoro è il più articolato che l’artista abbia registrato finora e rende la sua esistenza ancora più pregnante.
(G.A)

 


POLYGRIM – COLORSPACIOUS 
(elettronica)

Il musicista elettronico ucraino Volodymyr Dzitsiuk esce col suo primo album dopo una serie di singoli e ep, e per sua stessa ammissione, se da una parte per un musicista elettronico un album può essere uno spreco di energia e tempo, dall’altra l’album è l’unico formato che può aprirsi a un discorso omogeneo e strutturato. Colorspacious è di fatto un concept album, nasce dall’esigenza di usare solo sintetizzatori e rumori trovati, niente librerie di suoni preconfezionati, niente strumenti world, niente campionamenti: eppure Volodymyr Dzitsiuk riesce a creare un suono caldo e estremamente realistico pur usando solo materiale “sintetico.” Il risultato è un album davvero vario, che spazia dall’ambient di “Simple Things Are Warm Blankets” al trip-hop rivisitato di “Oceanic” alla techno calda di “Silverlines.”
(P.L)

 


JOSIAH STEINBRIC – LIQUID/DEVOTION & TONGUE STREET BLUE
(ambient/world/fusion)

Per chi non lo sapesse, Josiah Steinbrick è un polistrumentista di base a Los Angeles, già musicista per Devendra Banhart e produttore per Cate Le Bon (Mug Museum,Crab Day e Reward) oltre che per il progetto BANANA (con Cate Le Bon, Sweet Baboo, Stella Mozgawa e altri). Da solista ha pubblicato l’album Meeting of Waters e sempre quest’anno la colonna sonora di Horse Girl, film Netflix con Alison Brie. Questo Liquid/Devotion & Tongue Street Blue riprende i suoi studi sulle percussioni e li amplia in una struttura liquida che mescola ambient, fusion, jazz e world-music, eseguito con un’ampia batteria di strumenti (marimbas, dholak, gonguê, swarmandal, maram, madal e anche qualche strumento convenzionale), il risultato vive nello stesso mondo del catalogo Real World e del Peter Gabriel più etnico.
(P.L)

 


DIG NITTY – REVERSE OF MASTERY 
(indie rock)

Vengono da Brooklyn e Reverse of Mastery. il loro album di debutto, doveva uscire a luglio per Exploding in Sound (Pile, Shady Bug, Speedy Ortiz). Il disco prende il titolo da un saggio sulla solitudine di Durga Chew-Bose e le canzoni qui raccolte sono state scritte dalla cantante e chitarrista Erin McGrath durante il suo servizio di guardiaparchi  lungo la costa californiana, fino al deserto del Mojave e parlano di amicizia, amore, morte e vita quotidiana, spesso arricchite da riferimenti a flora, fauna e natura in tutta la sua libertà indifferente per le cose umane.

I Dig Nitty sono bravissimi a stendere su una tavola bianca tocchi di surf-rock, indie sbilenco, folk che ricorda il primo Sufjan Stevens, sfumature di pop psichedelico e tanto lo-fi. A aiutarli un piccolo nucleo di musicisti dell’area DIY di Brooklyn, tra cui Chappy Hull, Sabrina Rush, Adam Brisbin. Su “Lomita” canta Nick Llobet, aka youbet, uno dei più interessanti esordi di inizio anno (Compare and Despair uscito per Ba Da Bing) e membro della primissima formazione del gruppo.
(P.L)


SPENCER ZAHN – SUNDAY PAINTER 
(ambient-jazz)

Oltre a essere rinomato turnista per alcune dei migliori esempi di pop contemporaneo (come Empress Of e Half Waif) Spencer Zahn lavora anche come solista, lo fa nei ritagli di tempo, come un “pittore della domenica,” come chiunque sia costretto a fare quello che davvero gli piace solo quando non deve fare cose per altri. Sunday Painter è il suo terzo disco e come i precedenti è un mondo costruito dall’incontro di musica elettronica e musica acustica, sintetizzatori e contrabbasso, tra tendenze all’ambient e infusioni di jazz e pop di alta classe, questa volta però Spencer Zahn si fa accompagnare da una squadra di musicisti di prima scelta nella scena jazz e dintorni, cosa che aggiunge l’incontro tra un’individualità e una collettività.

Ispirato da Keith Jarret e dal Miles Davis di In a Silent Way, Sunday Painter riesce a disegnare una versione “ambient” di certe tendenze jazz, restando virtuosamente lontano da tecnicismi, improvvisazioni e assoli narcisistici. Apprezzabile soprattutto nella lunga, multiforme e avvolgente “The Mist,” ossia uno dei pezzi più belli dell’anno.
(P.L)


TIM KOH – IN YOUR DREAMS
(lo-fi)

Non so se Tim Koh sia più famoso per il suo podcast Kokonut Trip  o per aver suonato con Ariel Pink e Gang Gang Dance. Anzi lo so: per nessuna delle due, ché Tim Koh da noi è poco più che un illustre sconosciuto. Proviamo a rimediare, e già il fatto che sia californiano di nascita e ora si sia inurbato a Amsterdam già dovrebbe renderlo simpatico. Mettiamoci anche che questo disco Tim Koh l’ha pensato e scritto tra Los Angeles, Amsterdam e Londra mentre era in tour con Ariel Pink.
Mettiamoci che l’ha rifinito e registrato a casa sua a Amsterdam durante due anni di isolamento semi forzato, mentre doveva fare i conti con un’ulcera perforata (esperienza in parte raccontata sul pezzo “The Stomach,” ma solo in parte), mettiamoci anche che in questo è un disco divertente, fresco, con delle sonorità che sfuggono dal miasma normalizzato di molto rock contemporaneo, e mettiamoci “Dna Spray” è una figata, che “Covered with the Moss of Time” è una figata, che tutto quel sound fumoso anni sessanta è una figata, che tutto il disco è una figata. Oltre che in streaming è disponibile una DINKED Edition su vinile color mora, con annesso il singolo numerato e firmato e una borsa, o sempre su vinile color nebbia.
(P.L)

SARAH DAVACHI – CANTUS DECANTUS
(ambient/drone/modern classical)

Parliamoci chiaro, il presente, e anche il futuro è del synth, e per accorgersene basta dare un’occhiata alle varie piazze di Bandcamp, dal retrofuturismo del comfy synth, alla rinascita dal synth-pop (Finlay Shakespeare, Profligate, Le gout acide des conservateurs), all’elettronica liquida (Sam Prekop ma un po’ tutto il catalogo Orange Milk), agli esempi recenti di dungeon synth (J. Zunz e Lucrecia Dalt) fino al recente Hot Pots di Correlations, e se ancora non si è convinti, basta provare a ascoltare quest’opus magnum di Sarah Davachi, che ha riempito due dischi interi di composizioni per organo e tastiere, usando tutti gli organi immaginabili: a canne, a pompa, elettronici, idraulici, organi nuovi e organi antichi, di quelli che hanno anche un nome, spostandosi tra Amsterdam, Vancouver, Copenaghen e Los Angeles per suonarli e registrarli.

Una sinfonia di timbri,  di frequenze e di atmosfere che ruotano attorno al concetto di transitorietà e di mortalità, nessuno spazio per inutili virtuosismi, due soli pezzi cantati (“Play the Ghost” e “Canyon Walls”) che hanno una squisita qualità quasi aliena.
(P.L)


DEMAE – LIFE WORKS OUT… USUALLY 
(R’n’B)

Ha iniziato con un ruolo Lauryn Hill-iano nel combo londinese Fugees-iano Hawk House, e come Lauryn Hill anche Damae è finita a fare la solista, anche se in realtà gli Hawk House non soffrivano i cortocircuiti che nascono da troppe personalità forti in contrasto. Comunque: Life Works Out… Usually è un ep di soli venticinque minuti, ma bastano perché si costruisca un mondo intero: canzoni sui social e la dipendenza che possono dare, sulla prima macchina come simbolo di una prima effimera libertà, su quanto siano meschini gli esseri umani, sul tempo che passa, tutto in una salsa R’n’B vintage, molto old-school, con tanto di effetto vinile.
(P.L)


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