Le migliori uscite discografiche della settimana| 15 gennaio

Il 2021 entra nel vivo con una settimana di uscite discografiche ricca e interessante. In questo numero vi raccontiamo del ritorno in pista degli Shame, giunti al loro secondo album in carriera,  a seguire l’ottimo ritorno degli Sleaford Mods targato Rough Trade e l’indie rock dei Beach Bunny. Prestate infine attenzione al musicista giapponese Rhucle, agli esperimenti elettronici di Emeka Ogboh, ai nostrani Cabaret du Ciel e al pop targato Pom Poco. Per gli amanti dell’hip-hop ecco per voi Nyck Caution.

a cura di Giovanni Aragona, Paolo Latini e Chiara Luzi



SHAME – DRUNK TANK PINK 
(post – punk)

Il secondo LP del gruppo vede la band esplorare un momento tumultuoso della propria vita, attraverso il potere di un post-punk graffiante (molto figlio dei Jesus Lizard) scandito dai battiti di intelaiatura testuale chiara e coinvolgente. I giochi di parole di Charlie Steen (voce) colpiscono con impulsività, quasi come divagazioni intricate, ma non ci vuole molto per rendersi conto che il portavoce della band sta tentando di dare un senso al suo ambiente attuale, documentando il suo stato d’animo , allo stesso tempo alla ricerca di un conforto.

L’art-punk si dimena in uno scenario post-punk vecchia scuola  in un lavoro senza sbavature. Su undici brani scegliamo Snow Day come perfetta istantanea di un album che racconta l’incertezza e l’ansia di un presente diventato distopico. Tutti noi possiamo trovare conforto nel coraggio della band fagocitando il loro eccellente disco.
(G.A)


SLEAFORD MODS – SPARE RIBS 
(post-punk, electro-punk)

A distanza di un anno dalla pubblicazione di Eton Alive, gli Sleaford Mods ritornano con il sesto album in studio Spare Ribs. Questo album è perfetto da ogni punto di vista. Gli Sleaford Mods non sono solo due musicisti sopraffini ma riescono a creare delle produzioni incisive e senza sbavature. Il tono dell’album è familiare: semplice e tagliente, divertente e umanistico.

È il loro disco più musicale e orecchiabile fino ad ora, con una strumentazione più avventurosa sostenuta perfettamente dai magistrali vocalismi di Amyl and the Sniffers ‘Amy Taylor e dalla promettente Billy Nomates. Tra i migliori dischi della settimana.
(G.A)


BEACH BUNNY – BLAME GAME (EP)
(indie-rock, indie-pop)

A quasi un anno dal loro esordio Honeymoon, i Beach Bunny pubblicano oggi un nuovo Ep. Blame Game si muove nell’orbita del precedente disco in cui chitarra, basso e batteria segnano una rotta chiara e senza troppi scossoni. I quattro brani scorrono piacevolmente, in maniera liscia, allineandosi a suoni che ricordano molto il rock di band come i Wheatus, la cui eco compare nell’ultimo pezzo. Ascolto leggero per scaldare un po’ l’inverno.
(C.L)


RHUCLE – ROYAL BLUE 
(ambient)

Musicista ambient giapponese di base a Tokyo Yuta Kudo è attivo come Rhucle da poco meno di una decina d’anni e in poco meno di una decina d’anni ha realizzato quasi un centinaio di titoli. Royal Blue è il suo debutto per la sempre affidabile quanto coraggiosa etichetta australiana Oxtail Recordings che come tutti i titoli Oxtail esce solo su cassetta.

L’ambient che propone si muove in territori molto ibridi, tra tendenze alla new age, field recordings, synth usati in modo molto morbido e plastico, e le nove composizioni di Royal Blue sono forse il miglior compendio della sua sensibilità elettronica, piccoli bozzetti descrittivi e vignette eleganti come solo una sensibilità giapponese può creare, ma già i toni bassi di “Straight” e di “Still” si muovono nella strada battuta da KMRU l’anno scorso col sorprendente Peel, mentre i field recordings di “Lala” mantengono quella ricerca della semplicità che ha da sempre contraddistinto la produzione di Yuta Kudo.
(P.L)


EMEKA OGBOH – BEYOND THE YELLOW HAZE
(elettronica)

L’Africa è sempre più la nuova avanguardia. L’anno scorso lo hanno dimostrato gli esercizi di stile di Rian Treanor, nati da esperimenti sul singeli al Nyege Nyege Festival e  soprattutto il kenyota Joseph Kamaru, che con Peel ha definitivamente posto le basi per una nuova ambient che procede a fondo nelle due dimensione della lunghezza dei pezzi e della profondità. E sempre dall’Africa, ma dalla Nigeria, proviene l’artista multimediale Emeka OgbohBeyond the Yellow Haze nasce come parte di un’installazione che Emeka Ogboh aveva curato per la mostra No Condition Is Permanent alle Galerie Imane Farès, e successivamente realizzato prima come autoproduzione e ora pubblicato su doppio vinile dall’etichetta berlinese A-Ton.

Il disco contiene quattro lunghe composizioni (più un’outro) che mescolano sapientemente rumori trovati di ogni colore, field recordings che vanno al di là dei suoni naturali fino a inglobare rumore di traffico (il sistema di taxi sharing nigeriano danfo), persone che camminano e conversazioni captate per caso, frequenze radio, musica da ballo e musica elettronica fino a costruire un quadro esaustivo e altamente espressivo della sua città d’origine, Lagos, tanto radicata nella cultura africana quanto protesa verso un futuro che è già qui.
(P.L)


CABARET DU CIEL –  BREATH OF INFINITY
(elettronica)

I Cabaret Du Ciel, ossia i trevigiani Gian Luigi Morosin e Andrea Desiderà, sono per la scena elettronica nostrana tanto seminali e importanti  quanto sconosciuti al grande pubblico, anche dopo la ristampa su vinile di Skies in the Mirror di un paio di anni fa. Breath of Infinity, pubblicato dalla nuova e già convincente etichetta fiorentina Quindi Records in collaborazione con l’associazione bolognese LEDX, contiene nuove composizioni e qualche vecchia idea inedita e rispolverata per l’occasione.

I linguaggi dell’elettronica ci sono tutti: dall’ambiente alla new age alle derive IDM, “Theatre Azure” ti porta laddove la new age di Kaitlyn Aurelia Smith incontra l’ambient intimista di nuovi alfieri del genere come Polypores o Field Lines Cartographer, mentre il basso fretless di Giampaolo Diacci su “Climatic Variations” sembra voler ammiccare al Peter Gabriel del suo capolavoro Passion ma con poliritmi e loop possibili solo se si è passati sotto le forche caudine del post-rock di matrice Tortoise, altrove è il synth a fare da guida, come nella breve “Meredith,” divertissement melodico e raffinato che è un antipasto per il techno-kraut di “Sunset Parade March” e il synth-pop vagamente anniottantesco di “Highlands.” I Cabaret Du Ciel sono esattamente ciò che era necessario perché l’elettronica più attuale potesse dire qualcosa anche in italiano.
(P.L)


POM POKO –  CHEATER
(pop)

Pop nella sua incarnazione più nobile, quella lontana da lustrini e pose e vicina a melodie istintive, ritmi accattivanti, riff di chitarra gentili: i norvegesi Pom Poko sono al loro secondo disco, sempre per Bella Union, e passano da vignette pop schizofreniche e saltellanti come “Andy Go to School” e “Like a Lady” al punk centrifugato da massicce dosi di ironia in pezzi freschi e scoppiettanti come “Look” dove la voce da bambina irriverente di Ragnhild Fangel ti accompagna in un mondo sospeso tra il paese delle meraviglie di Alice e la fabbrica di cioccolato di Willy Wonka.
(P.L)


NYCK CAUTION – ANYWHERE BUT HERE
(Hip Hop)

‘Ovunque ma non qui’ è una frase che probabilmente tutti abbiamo pronunciato più di una volta, ma per quale ragione? Nyck Caution le sue ragioni ce le racconta in Anywhere But Here, in uscita oggi. Questo lavoro è molto personale, in particolare il rapper sviscera la perdita del padre condividendo con l’ascoltatore il modo in cui sta superando tutto questo. Il disco è forse poco coeso, non c’è una sola cifra stilistica e questo cambio di registri spezza un lavoro che avrebbe potuto essere molto più interessante. Ci sono però dei brani di valore come Product of my environment in cui compaiono Kota the Friend e Erick the Architect.
(C.L)


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