Le migliori uscite discografiche della settimana| 14 ottobre 2022

Numero ricco in questa settimana di uscite discografiche della settimana. Abbiamo ascoltato gli ottimi ritorni di 1975, Red Hot Chili Peppers, Brian Eno e Bill Callahan. A seguire prestate attenzione ai Black Lips, Skullcrusher, The Big Moon, i Chorusgirl, I Comaneci e Lucrecia Dalt

a cura di Giovanni Aragona, Stefano Bartolotta, Chiara Luzi e Cristina Previte

12:18:01  – 14/10/2022



SKULLCRUSHER – QUIET THE ROOM 
(songwriting)

Avevamo già tessuto le lodi del lavoro di Helen Ballentine in questa rubrica quando è uscito il suo EP nell’aprile del 2021. Ora è tempo dell’album di debutto, per il quale l’artista ha scelto una veste diversa, più introspettiva e meno esuberante, ma interessante e coinvolgente allo stesso modo, se non di più. Skullcrusher, infatti, dimostra chiaramente che si può fare musica delicata senza rinunciare a un’ampia gamma di sfumature sonore e di intrecci negli arrangiamenti, e propone 14 canzoni che danno grande piacere sia se le si ascolta con attenzione e spirito critico, che se ci si apre alle sensazioni che le caratterizzano e ci si lascia andare a esse. Non è davvero facile esprimere una così marcata personalità quando si punta così tanto sulle carezze, ma qui l’artista ci riesce appieno, per un debutto impeccabile, maturo ed emozionante.
(S.B)

CHORUSGIRL – COLLAPSO CALYPSO
(indie-rock)

Terzo album per il progetto capitanato dalla anglo-tedesca Silvi Wersing, da sempre amante del connubio tra melodie pulite e jangle chitarristici diretti da un lato e distorsioni e riverberi dall’altro. Questa caratteristica di base è ben presente anche qui, ma, per la prima volta, viene associata a un songwriting enigmatico e sfuggente, con le melodie che non firmano un insieme fluido, ma vanno e vengono in modo imprevedibile e discontinuo. La scelta si rivela vincente e queste 10 canzoni per 35 minuti di durata offrono diversi spunti di interesse e risultano sempre capaci di tenere alta l’attenzione dell’ascoltatore. Davvero una bella svolta per un progetto che rischiava di avvitarsi su se stesso e invece ha saputo aprirsi a nuove e intriganti strade senza snaturarsi.
(S.B)

BRIAN ENO – FOREVERANDEVERNOMORE
(Ambient, Art Rock, Space Ambient)

Un ritorno alle origini quello di Brian Eno, autore del suo nuovo album e il suo primo album vocale da Another Day On Earth del 2005.  Eno continua a sperimentare con il suono, i livelli e in questo album, la voce diventa altresì elemento di lavorazione. Un lavoro visionario che pone l’accento sul futuro, o sulla mancanza di futuro, per questo pianeta. nfatti, l’album è meglio apprezzato ascoltando dall’inizio alla fine con il minimo distrazioni. Questo album richiede e merita l’attenzione dell’ascoltatore. Ogni canzone scorre come un fiume in piena verso la successiva. Una grande cura per i tesi e al contempo una scrittura brillante e precisa. Un ottimo disco in cui spicca la brillante “Garden Of Stars” : un grido di allarme nei confronti di un mondo allo sbando. Complimenti maestro.
(G.A)


BLACK LIPS – APOCALYPSE LOVE 
(garage-rock)

Nulla da dire, i Black Lips sanno come scrivere musica. Quello che affascina, come in questo nuovo lavoro, è l’impossibilità di decifrarli ed etichettarli in un preciso genere.  ‘Apocalypse Love’ è un grido primordiale, una lettera d’amore alla loro anarchia sonora e l’imprevedibilità del mondo in cui viviamo. Un bel disco discordante, che spazia tra tanti generi a ritmi altissimi mantenendo lo spirito garage.
(G.A)


LUCRECIA DALT – ¡Ay!
(Art Pop, Electronic)

Per chi scrive, Lucrecia Dalt è uno dei migliori talenti di questa generazioni di musicisti. La sua musica sperimentale è fatta sempre con gran criterio e nulla è gettato e consegnato al contempo al caso.  Quest’ultimo disco delinea i fenomeni metafisici e analizza con grande nitidezza la natura della coscienza umana.

Un disco che ha la capacità di raccontare un’entità extraterrestre che sbarca sul nostro pianeta e affronta per la prima volta concezioni i problemi degli umani. Un disco sci-fi sostenuto da sonorità bolero e art pop per dieci canzoni perfette. Provate a piazzare la musica latinoamericana in una pellicola e ficcatela dentro una pellicola diretta a quattro mani da Andrei Tarkovsky e Terry Gilliam, il risultato sarà questo ottimo disco.
(G.A)


COMANECI – ANGUILLE
(dream-slowcore)

Giunti al quinto disco, i romagnoli Comaneci trovano la quadratura del proprio cerchio, mettendo in campo un’identità finalmente ben definita, basata sull’elogio della lentezza e sull’attitudine onirica. Dopo essere stata per troppo tempo a metà del guado tra pop e introspezione, stavolta la band decide di sognare sul serio e di farlo coi tempi consoni e, soprattutto, con lo stile melodico e vocale adatti. Le melodie, infatti, sono correttamente sfuggenti e poco definite e la voce di Francesca Amati si incupisce ma guadagna anche tanta profondità interpretativa. Mettiamoci poi un suono che unisce sapientemente digitale e analogico, senza paura di risultare sporco quando serve, ed ecco un disco capace sul serio di far evadere l’ascoltatore da questa difficile realtà.
(S.B)


BILL CALLAHAN – YTI⅃AƎЯ
(folk, alt country)

Continua ad entusiasmare il nuovo capitolo della vita creativa di Bill Callahan iniziato nel 2019 con Shepherd in a Sheepskin Vest a cui era seguito l’anno successivo Gold Record. Questa nuova fase trova un’ulteriore espressione nel nuovo YTI⅃AƎЯ, diciannovesimo disco in studio del cantautore americano. Interamente registrato dal vivo, il disco affronta la nuova realtà del post pandemia. Il punto di vista che ci viene offerto è quello della speranza intenta a scavare attraverso le ombre, alla ricerca di amore e gentilezza, strumenti necessari per ritrovare l’equilibrio.

I dodici brani attraversano valli cupe in cui suoni sperimentali e chitarre distorte ipnotizzano i viaggiatori, Planets. Ispirato dal contatto stretto con la natura, First Bird, dalla purezza della quotidianità YTI⅃AƎЯ affascina immediatamente, complice come sempre la splendida voce baritonale di Callahan, rassicurante e avvolgente, Lily. Il disco ha effettivamente un potere taumaturgico, è capace di medicare ferite profonde con liriche quasi filosofiche cullate da melodie incantevoli. Ancora una volta ci troviamo davanti ad una delle magie di Callahan.
(C.L)


THE BIG MOON – HERE IS EVERYTHING
(indie rock)

La splendida immagine di Juliette Jackson incinta che campeggia sulla copertina del nuovo lavoro di The Big Moon chiarifica immediatamente quale è l’esperienza che maggiormente ha influenzato la scrittura di Here is Everything. Con questo terzo lavoro il quartetto inglese dimostra di essere creativamente in ottima forma, libero di esplorare nuovi territori giocando sempre con le sonorità brillanti che lo caratterizzano. La scrittura è molto intima, l’esperienza della Jackson è il leitmotiv di questo lavoro brillante, ma pur essendo un argomento specifico è facile relazionarsi ai sentimenti universali di gioia e sgomento che ne scaturiscono, High and Low. L’album è comunque un lavoro ottimista reso da sonorità brillanti che trovano una via di fuga in brani come Daydreaming. Questo lavoro, molto emotivo, riesce a infondere un senso di gioia in questo mondo così duro in questo momento.
(C.L)


THE 1975 – BEING FUNNY IN A FOREIGN LANGUAGE 
(pop rock, new wave)

Being Funny In A Foreign Language è un disco che suona pop, senza cadere nella banalità, anche se manca quel senso di urgenza ed insicurezza dei lavori passati: si sente chiaramente che questo è un disco “appagato” anche grazie alla presenza di arrangiamenti orchestrali, piano e fiati.

Nonostante questo però l’album sembra troppo addolcito e potrebbe infastidire dopo i primi brani l’album oscilla tra  sonorita che richiamano Ed Sheeran e Coldplay, anche se ci sono dei brani interessanti per contenuti Looking For Somebody (To Love) una traccia che parla delle sparatorie nelle scuole o anche alla ballad atmosferica Human Too, nella quale Healy dichiara la propria empatia per le persone che la società percepisce come “diverse” mentre le tracce più riuscite musicalmente sono Happiness Oh Caroline, due buoni indie pop dai toni anni ’10. In definitiva questo Being Funny In A Foreign Language” è il classico disco che o piace o infastidisce.
(C.P)


RED HOT CHILI PEPPERS – RETURN OF THE DREAM CANTEEN
(Funk-rock, alternative rock)

A 6 mesi dalla pubblicazione di “Unlimited Love”, i Red Hot Chili Peppers tornano con un  nuovo lavoro in studio con il fanciullesco Return of the Dream Canteen”, su etichetta Warner Records.

I Red Hot Chili Peppers hanno scritto e registrato Return of the Dream Canteen durante le stesse sessioni del loro precedente album in studio, Unlimited Love (2022). L’intenzione è riaccendere una voglia che dopo quarant’anni di vita e musica al massimo rischia di lasciare posto alla più classica routine di alto livello.

È chiaro che il livello è alto, ma questo accade quasi di default, visto che i Red Hot Chili Peppers rimangono una band esplosiva, grazie sopratutto a Frusciante, perché è lui, con le sue imprevedibili invenzioni a scompaginare gli schemi, come avviene regolarmente nei concerti. E come avviene anche in questo album che ha un mood quasi indolente.  Frusciante ci pensa nel primo singolo e brano di apertura “Tippa My Tongua“, un funk rock in perfetto stile Peppers, in “Eddie“, uno dei momenti migliori dell’albumqui le oasi musicali sono un viaggio nel viaggio che culminano in un finale distorto, in “Reach Out“, tipico brano con le strofe da ballad che poi esplode nel rock più feroce e in un assolo di chitarra, in “Bag of Grins” dove  si hanno degli echi Grunge, in “Copperbelly“, un tempo dispari con un solo quasi noise e nel roccaccio-blues di “Carry Me Home“, un brano che l’inventiva sfrenata di Frusciante libera da schemi molto sfruttati.

Ancora una volta i RHCP dimostrano, nonostante da anni siano all’apice del successo, di essere in grado di continunare a cavalcare una straordinaria onda creativa.
(C.P)


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