Il mese scorso No Joy ha pubblicato il suo quarto album, Motherhood, che arriva a ben cinque anni dal precedente, More Faithful. Il nuovo LP vede per la prima volta la sola Jasamine White-Gluz al comando delle operazioni, dopo che l’altra fondatrice della band noise-pop canadese Laura Lloyd aveva lasciato la formazione: Jasamine ha così scritto tutto il disco aiutata solamente dal noto produttore Jorge Elbrecht. Il risultato vara verso territori più elettronici e sperimentali rispetto ai passati lavori. Noi di Infinite-Jest.it abbiamo approfittato di questa nuova release per scambiare due chiacchiere con la musicista di stanza a Montreal.
11:46:19 – 01/10/2020
Ciao Jasamine, come stai? Sei contenta che le persone possano finalmente ascoltare il tuo nuovo disco?
Sono molto felice. Ho lavorato su questo album per così tanto tempo che mi sembra un po’ surreale che sia effettivamente uscito.
Ci sono voluti cinque anni per pubblicare il tuo quarto disco: cosa è successo durante questo lungo periodo di tempo?
Dopo l’ultimo album, volevo rivalutare la mia comprensione dell’industria musicale e anche il modo in cui ho realizzato i dischi. In quell’arco di cinque anni ho pubblicato 3 EP che erano ciascuno un’esplorazione di diverse tecniche di registrazione e pubblicazione, per vedere quale avrei preferito, una volta arrivato il momento di un album completo. Sono anche stata molto in tour, cambiando lo spettacolo dal vivo in modo che fosse migliore per catturare di più gli elementi degli album.
Questa volta hai scritto il tuo nuovo LP insieme al produttore Jorge Elbrecht (Ariel Pink, Japanese Breakfast, Sky Ferreira): quanto è cambiato il tuo processo creativo per questo nuovo lavoro?
Jorge lavora con me dal 2012, da quando abbiamo registrato Wait To Pleasure. Da allora abbiamo fatto molte cose insieme ed è la persona con cui preferisco lavorare. Capisce la mia direzione ed è un songwriter e un produttore molto brillante. Sapevo che avrei realizzato questo nuovo album con lui, abbiamo scritto e prodotto ogni canzone insieme.
Questa volta hai avuto la possibilità di lavorare da sola e non con una intera band: questa cosa ti ha dato un maggiore potere creativo? Pensi di essere stata più libera di provare qualcosa di nuovo?
Le canzoni non sono state scritte come una band che suona insieme in una stanza, non sono state progettate per esibizioni dal vivo. Sono state tutte scritte e create strato per strato. Non volevo essere limitata da “come suoneremo dal vivo?” – Volevo solo fare quello che si adattava alla canzone. Quindi sì in un certo senso ero più libera perché potevo provare qualsiasi idea – niente era troppo strano da provare.
Motherhood è un titolo molto interessante: c’è un significato particolare dietro a esso?
La maternità può significare molte cose: l’atto reale del parto, le figure materne, la fertilità, la femminilità, la responsabilità, l’identità, l’invecchiamento, questi sono tutti temi che volevo toccare.
Hai detto che il tuo nuovo disco è stato influenzato dalla musica che ascoltavi alla fine degli anni ’90: di che musica si trattava?
Alla fine degli anni ’90, quando ero al liceo, sembrava che la musica fosse questo enorme crogiolo. C’erano grandi etichette che investivano ancora nella musica sperimentale, le band correvano rischi sia sui loro album che sulle loro immagini. C’era musica che era indefinibile – qualcosa come i Massive Attack per esempio: era rock? Elettronica? Mi è sembrata come l’età dell’oro in cui si potevano ancora vedere queste strane e belle produzioni sulle principali reti televisive e sulle radio tradizionali.
Nella canzone Dream Rats hai lavorato con tua sorella Alissa, che è la cantante degli Arch Enemy: era qualcosa che volevate fare da tanto tempo? Cosa ha aggiunto alla tua musica?
Raramente siamo nello stesso posto nello stesso momento, di solito siamo entrambe in tour. Quindi, quando stavo registrando l’album ed eravamo entrambi a Montreal, mi è sembrato il momento giusto per collaborare. È una cantante straordinaria, ha registrato la sua parte al primo tentativo. Ho impiegato sei mesi per registrare tutti i miei vocals haha. Io e mia sorella siamo entrambe musiciste e viviamo vite simili, ma molto diverse, quindi è stato davvero speciale collaborare con lei su questo disco, soprattutto perché questo album parla di famiglia.
Nel tuo EP “No Joy / Sonic Boom” del 2018 hai iniziato a esplorare la musica elettronica: nel tuo nuovo album, anche se ci sono chitarre (e anche il banjo!), hai usato anche molti synth. Dopo tre dischi principalmente guidati dalla chitarra hai deciso di cambiare i tuoi paesaggi sonori?
Sì, mi annoio facilmente e voglio provare cose nuove, volevo creare nuovi suoni invece di usare gli stessi metodi che avevo usato in precedenza. Tutte le canzoni di Motherhood sono iniziate con la chitarra, ma non volevo che rimanessero nella formula “rock band”. Ascolto molta musica diversa, molta elettronica. Le chitarre saranno sempre al centro di ogni canzone dei No Joy, ma volevo trovare nuovi modi per usarle.
Come etichetteresti il tuo nuovo disco? “Shoegaze” sembra essere un po’ troppo limitativo ora.
Non lo so, haha! Sperimentale? Penso che sia un po’ ovunque sulla mappa. Forse le etichette non sono più necessarie comunque, so di non prestare loro attenzione quando scopro nuova musica.
Questo è il tuo primo LP per Joyful Noise Recordings: come ti senti a lavorare con un’etichetta così brillante, già casa di di ottimi artisti come Ohmme, Oneida, Thor, Deerhoof, The Low Anthem, solo per citarne alcuni?
Abbiamo lavorato insieme all’EP No Joy / Sonic Boom. Loro corrono rischi sulla musica, cosa che penso sia rara oggigiorno. Fanno davvero uno sforzo in più per realizzare prodotti bellissimi e in questo momento sono davvero in un campionato a parte, visto che pubblicano artisti così diversi. Jess Clark, che è l’A&R (e direttore dell’etichetta), e io ci siamo incontrate forse dieci anni fa e poi le nostre strade si sono incrociate di nuovo di recente, sembrava proprio che fosse destinato!
Ho visto che pubblichi la tua musica anche in vinile (l’edizione limitata in vinile Moonphase Clear & Neon Violet del tuo nuovo album è già sold-out): cosa ne pensi di questo formato che è tornato alla grande dopo parecchi anni? Collezioni vinili?
Sì, certamente! Non so se mi fossi resa conto che non era cool ahah. Mi piace possedere la musica per tenerla tra le mani, vedere l’opera d’arte e ascoltarla (di solito) nel modo in cui dovrebbe essere ascoltata. Lo streaming è divertente, ma trovo che la qualità audio sia variabile, quindi per me preferisco il vinile.
Hai suonato in streaming durante il lockdown? Qual è la tua opinione sul futuro della musica dal vivo?
Sì! Ho fatti alcuni concerto e ognuno era diverso. Ultimamente suoniamo in venue vuote. Qui a Montreal ci sono alcuni live con poco pubblico, ma non sono ancora pronta a fare quel tipo di cose. Penso che la musica dal vivo sia chiaramente resiliente, durante il lockdown gli artisti sono diventati supercreativi per trovare modi per continuare a esibirsi e a intrattenere. In questo momento sembra un po’ di essere nel selvaggio west dove non ci sono regole, non sono stati fissati degli standard e tutti ci stanno provando. Penso che anche gli ascoltatori siano stati pazienti – ed è una cosa positiva. Preferirò sempre i live per la comunità e per l’esperienza, ma nel frattempo penso che ci siano delle alternative davvero interessanti.
Hai qualche nuovo artista interessante da suggerire ai nostri lettori?
Hmmmm … alcuni artisti che ho ascoltato: il lavoro da solista di Jorge Elbrecht, Backxwash, Geotic, Ganser, Sad13, Le Ren, Shamir … c’è molta musica fantastica in questo momento!
Antonio Paolo Zucchelli
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