26/04/2024
Una chiacchierata a caldo con Damir Ivic nel ricordo di Andrew Weatherall. --

credit photo: Spencer Hickman

12:13:35  – 18/02/2020

Andrew Weatherall non è stato un semplice musicista, ma una delle figure più importanti della musica dell’ultimo trentennio. Una carriera lunghissima infarcita da collaborazioni illustri. Dalle produzioni con Beth Orton, Primal Scream e One Dove, ai remix di Björk, Siouxsie Sioux, Orb, The Future Sound of London, New Order, Manic Street Preachers, My Bloody Valentine, James e molti altri. Nel mezzo, i club e i tantissimi set condotti con maestria e senso del gusto. Produttore di pop-star, scopritore di talenti, sottile musicofilo, sperimentatore elettronico, autentico monolite dell’underground. Andrew Weatherall era tutto questo e anche oltre. Weatherall è l’artista che ha meglio rappresentato una generazione condensando d’un fiato il punk, il pop, l’acid house e la musica elettronica. Un patrimonio artistico, culturale e musicale immenso e un ricordo, quello di Damir Ivic, più volte cronista di tanti suoi set e di tante chiacchierate.

 

Ciao Damir, è una giornata molto triste e credo tu possa essere la persona giusta per ricordare Andrew Weatherall. 

Sono senza parole, non mi aspettavo questa terribile notizia. Ha vissuto una vita intensa ed avventurosa. 

Hai avuto la fortuna di intervistarlo moltissime volte. Che impressione hai avuto dell’uomo Andrew Weatherall?

È una bella domanda. Molti lo ricordano (giustamente) per le cose più importanti che ha fatto, penso agli anni ’90 e all’operazione culturale che ha messo in atto, fondendo i mondi dell’indie con l’elettronica. La vera particolarità di questo artista è la sua umanità. Un gentiluomo di altri tempi. Era una fonte inesauribile di aneddoti, nozioni, e non c’era bisogno di nessun stimolo: era sincero e spontaneo. Percepivi subito che era una persona curiosa nei confronti del mondo.

Quale ricordo ti ha colpito di più? 

La prima volta che ho avuto la fortuna di intervistarlo è accaduto a Bologna nel 2007, in una sorta di sotterraneo del vecchio Kindergarten. Il posto era “molto underground” ed eravamo immersi in sorta di situazione “gotica”. Aveva realizzato da poco Fabric 19 e parlammo a lungo del fenomeno acid house in Inghilterra, rimasi folgorato dalla “persona Weatherall”.  

Lui aveva un bel rapporto con il nostro paese, ricordo una tappa napoletana nel 2006 non così partecipata. Cosa è mancato ad Andrew Weatherall per diventare “fenomeno commerciale”?

La risposta è molto semplice: non ha voluto lui. Se parli con i migliori dj al mondo, ad esempio Claudio Coccoluto, tutti diranno che è stato il migliore. Quando Weatherall negli anni ’90 ha creato questo corto circuito tra indie e elettronica, aveva ricevuto molte proposte lavorative che sicuramente lo avrebbero fatto balzare nelle classifiche di tutto il pianeta – penso a Madonna, agli U2 e alle major più importanti – ma lui ha preferito sempre rintanarsi nel suo mondo sotterraneo. Può sembrare incredibile ma, ogni volta che rischiava di diventare famoso, faceva un passo indietro e tornava a sfornare capolavori come The Sabres of Paradise. 

Che patrimonio lascia un musicista del genere, e qual’è il suo insegnamento ?

Spero che rimanga il suo senso di libertà, nel senso più ampio. Ammirava i suoi colleghi e non portava rancore e invidia. Ha sempre creato musica mettendo il suo senso di libertà alla base della sua azione. 

Ho letto una tua vecchia intervista e mi hanno incuriosito tantissimo le risposte di Andrew. Una passione smisurata per tutta la musica, per l’indie rock, per lo slowcore e per i Monty Python (!!). Una fonte inesauribile di nozioni. Volessimo entrare nella sfera squisitamente musicale mi viene spontaneo chiederti, come ha suonato la sua musica? E che elementi sonori si possono evidenziare?

Sicuramente la forte componente tech – house mescolata a un numero importante di strumenti organici. La bellezza delle sue opere risiede nel non aver mai creato veri inni da stadio. Si è sempre fermato un attimo prima, consapevole del fatto che quello era il suo territorio.

Una carriera impreziosita da remix di altissimo livello. Quale il suo migliore?

Senza batter ciglio ti dico ‘Reeled And Skinned EP Red Snapper’ del 1995, incredibile il suo piano valorizzato della linea di contrabbasso, senza effetti speciali. Il tutto, a risentirlo, è molto essenziale e tremendamente efficace. 

Quale contributo avrebbe potuto dare oggi alla musica?

Ti spiazzo e ti dico poco, veramente poco. Credo che, in questo momento, i musicisti difficilmente vanno alla ricerca di un personaggio come Andrew Weatherall. Con le capacità tecnologiche di cui disponiamo, possiamo fare tutto. Gli artisti di oggi non hanno bisogno di un produttore ma di qualcuno che ti spinga al successo, e lui non era sicuramente la persona giusta. 

Dovessi consigliare un disco della sua discografia?

Senza dubbio From the double Gone Chapel, a firma Two Lone Swordsmen, pubblicato per la Warp Records. Riassume l’universo sonoro della sua musica e la sua sensibilità. 

G.A

 

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