L’abisso tradotto in musica: In The Flat Field dei Bauhaus

Registrato tra il dicembre del 1979 e il luglio del 1980, In The Flat Field è l’esordio dei Bauhaus guidati dal carismatico Peter Murphy. 

13:18:41  – 03/11/2020


I Bauhaus e l’oscuro viaggio all’interno di In The Flat Field

La carriera dei Bauhaus è stata da sempre paragonata a quella di Robert Smith e dei suoi Cure. Se da una parte i Cure sono la più grande band mai emersa all’interno del movimento dark- gotico i Bauhaus hanno da sempre incarnato non solo l’oscurità, ma la presenza completa del rock gotico, combinando il suono abrasivo del punk con la teatralità del glam, il tutto in uno scenario molto più oscuro. Tutti questi tratti sono stati riversati nel disco di debutto della band di Northampton, In the Flat Field, un set di canzoni abrasive e strazianti, ma al contempo così intense da suonare così potenti anche dopo 40 anni. Un muro sonoro costruito mattone dopo mattone da Kevin Haskins e David J, dalle chitarre stridule di Daniel Ash e dalla voce graffiante, carismatica e indemoniata, di Peter Murphy.  

Ma a scanso di equivoci mettiamo da subito in chiaro un aspetto: i Bauhaus vanno molto oltre il concetto di gotico. La band suona a tutti gli effetti il miglior Post-punk dell’epoca. L’album è tanto influenzato da Bowie, così come è figlio legittimo delle sonorità di The Velvet Underground, di Iggy Pop e del dub reggae vecchia scuola.  

I Bauhaus dovevano (ri) creare un genere per se stessi perché semplicemente – in quel periodo – non c’era nient’altro che suonasse come il loro sound. Ciò che rende la storia dei Bauhaus affascinante e intrigante è la capacità e il coraggio di sciogliere la band nel periodo di maggior splendore. Ma i Bauhaus hanno sempre preferito l’oscuro alla luce. In the Flat Field è la pietra miliare di un genere e la rete costruita dalla band, conduce l’ascoltatore in un viaggio sonoro rassomigliante ad un lungo stato di trance.

Genesi e ristampe

In the Flat Field venne pubblicato il 3 novembre del 1980, come prima uscita della nascente etichetta discografica 4AD. L’album non venne ben accolto dalla critica, ma conquistò la vetta delle classifiche indipendenti nel giro di poche settimane.  Magicamente  riuscì a sbarcare nelle prestigiosi UK Albums Chart, raggiungendo la posizione numero 72 durante la sua unica settimana di permanenza. 

Il disco uscì in formato CD nell’aprile 1988, con l’aggiunta di otto tracce bonus inclusi i singoli Dark Entries, Terror Couple Kill Colonel e una cover di Telegram Sam dei T. Rex e 21 anni dopo la 4AD/Beggars Banquet ristampò l’album in edizione speciale “Omnibus”, con le nove tracce dell’album originale rimasterizzate in digitale a 24-bit, più un bonus disc di 16 brani relativo a singoli, outtakes, versioni alternative. 

L’abisso in suoni

Pochi album di debutto sono stati così ben confezionati. In the Flat Field ha praticamente inventato da solo quello che rimane per molti il cliché della musica gotica fatta da voci strazianti cantate su comparti sonori misteriosi e oscuri.

Detto questo, forse la cosa migliore dell’album non è quello che dovrebbe suonare, ma quello che in realtà fa. Una rock band incredibilmente potente, ispirata al glam, capace di moderare e completare una rete di suoni unica supportati da un frontman carismatico e impetuoso. In the Flat Field è un contenitore sonoro ricco di ispirazioni e idee. La sezione ritmica realizza una serie di performance sbalorditive (Dive, In The Flat Field, Double Dare) capaci di trasformare parti di chitarra relativamente semplici in esplosioni apocalittiche e granitiche. Murphy, nel frattempo, ha imparato tanto da Iggy Pop quanto da David Bowie, dimostrando però di non essere un semplice clone di nessuno dei due.

Il disco appare ad una prima rapida e approssimativa lettura un prodotto a dir poco anomalo, sia per la sua apparente sfacciataggine nell’inserirsi senza troppi crismi né giustificazioni all’interno dell’ormai ampio solco tracciato da opere coeve quali il Seventeen Seconds dei Cure (avallando il topico e iperabusato stereotipo del dark) sia per una dimensione narrativa e simbolica che attinge a piene mani da generi tra loro molto simili.  In the Flat Field è il miglior incubo tradotto in musica. Aggressivo, tormentato da un dolore profondo e così iconoclasta da divenire l’espressione perfetta dell’abisso. 

G.A

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