“La musica che faccio la faccio soprattutto per me, per riflettere la bellezza del mondo che vedo e che sento, e non per business.” Intervista a Katya Yonder

Katya Yonder è uno dei più bei gioielli nascosti dell’art-pop europeo. Nata in Russia, a Yekaterinburg, una città ai piedi degli Urali al confine con il Kazakistan, ha esordito tra alti e bassi in alcune produzioni elettro-pop russe per poi approdare a una carriera solista, dapprima ambient e soundscape con l’etichetta russa Floe, con la quale ha pubblicato tre album su cassetta, per approdare quest’anno alla tedesca Métron, con la quale ha pubblicato quest’estate uno dei dischi più affascinanti dell’anno, Multiply Intentions, sospeso tra ambient e formato canzone dove Katya Yonder canta in quattro lingue—russo, inglese, francese e giapponese—e mescola elementi della musica russa, dell’avanguardia giapponese e del folclore mediorientale con un’attitudine più spiccatamente europea. L’abbiamo raggiunta via email e ci abbiamo fatto una bella chiacchierata.

15:26:08  – 20/10/2020


Il tuo vero esordio è stato in un singolo, una cosa che ho scovato tra le pieghe di Bandcamp
Sì, credo tu intenda SlideUltraUnity – “город розовых снов” (City of pink dreams)— è la cover di una canzone di un’altra band russa degli anni ’90 veramente misconosciuta, Doctor Krupov. Onestamente quel pezzo è stato una sorta di dono che feci a SideUltraUnity. Non siamo più neanche amici per motivi molto tristi. Comunque feci io tutta la traccia.
Quindi i Tip Top Tellix…
Nei Tip Top Tellix ero solo una vocalist, quindi non è lì che inizia veramente la mia carriera. La storia di quella band è alquanto triste, non eravamo esattamente amici, e gli altri erano tutti più interessati a quello che la gente diceva di loro più che a fare musica di un qualche livello. Alla fine mi ero stancata di aspettare che realizzassero le versioni finali dei pezzi e avevo già un paio di progetti miei quando poi uscì il disco dei Tip Top Tellix con le mie parti vocali usate senza il mio consenso. 
Lavori solisti che erano già ambient e soundscape per l’etichetta russa Flue, e ora Multiply Intentions è il tuo primo album europeo e il primo in cui mescoli ambient e pop. Le tue influenze devono essere davvero ampie…
Ho avuto un’educazione classica, anche e soprattutto in musica (sono una violinista). A scuola studiavamo tutti i capolavori della musica classica fino al XX secolo, sai i soliti programmi del Conservatorio. A casa però i miei genitori avevano un’enorme collezione di vinili con un sacco di musica classica d’avanguardia, ma anche pop dagli anni ’60 ai ’90 e musica elettronica—mi piaceva davvero tanto quando ero piccola, ballavo sempre, non importa se ascoltando Čajkovskij e Schönberg o Space, jean-MIchel Jarre… qualunque cosa (tranne i Beatles —non so perché ma da piccola iniziavo sempre a piangere quando i miei genitori mettevano i Beatles e smettevo solo se li toglievano, dopo tanti anni ci ho fatto la pace, ma non sono una fan).
Comunque quella è la direzione che presero i miei gusti da adulta: Oskar Sala, Olivier Messiaen, Klauz Schulze fino a  Thomas Tallis e la musica medievale, dalla disco al vogue, all’ambient di Brian Eno, Harold Bud, Ryuichi Sakamoto e Horoumi Hosono (e naturalmente la Yellow Magic Orchestra), Iasos, Deru, Tangerine Dream e Ashra, e tanti e tanti altri fino al pop di Madonna, l’r’n’b dei 2000, dalla Scuola di Vienna all’avanguardia giapponese.
Come e quanto cambia, se cambia, l’idea di musica pop tra la Russia e l’Europa occidentale?
Non credo che a livello di produzione cambi davvero qualcosa, ma ci sono senz’altro delle differenze nell’approccio. Personalmente credo che in Russia ci sia quello speciale “sentimento russo”—una sensazione di tormento, descritta benissimo per esempio da Tarkovsky e Schnittke, da scrittori e artisti russi nelle opere, un misto di malinconia e nostalgia, ma senza che ci sia un oggetto cui questi sentimenti sono diretti. Nasce dalla contemplazione della natura, quando guardi l’orizzonte lontano e finisci per guardarti dentro, nell’essenza delle cose.
Per certi versi è simile alla cultura giapponese, ma senza quella piacevolezza estetica né quell’estetica ritualistica, ma secondo me è simile.  Ma forse è una qualche impotenza dell’uomo di fronte alla natura e al tempo, la vita stessa: più esteso è il paese in cui vive, più piccolo è l’uomo, al di là di tutti gli stereotipi sulla grandezza umana.  Per la musica poi ovviamente qua c’è tanto pop e tanto rap. Tutto si è massificato dopo l’avvento di internet: prima ciascuno aveva la sua cultura personale, i suoi film, i suoi libri, la sua musica. La sua identità. 
Soprattutto con lo streaming abbiamo accesso a tutto un catalogo e molti finiscono per ascoltare le stesse cose. Multiply Intentions però è solo su Bandcamp o su vinile. 
Sullo streaming la decisione è della Métron. Francamente sono stanca di fare musica che poi non mi appartiene. Per i miei precedenti album non ho avuto niente anche se l’etichetta vendeva cassette e digitale. Per caricare la tua musica sui servizi di streaming devi pagare un tot per ogni titolo, e se poi non viene pubblicizzata su un grande canale non verrà ascoltata che da pochi.
Ma onestamente non mi importa poi tanto: io ho il mio lavoro e la musica che faccio la faccio soprattutto per me, per riflettere la bellezza del mondo che vedo e che sento, e non per farci dei soldi.  So che la mia musica non è per le grandi masse e non sarà mai in cima alle classifiche. 
Personalmente e da amante del vinile preferisco sempre comprare la musica che mi piace piuttosto che affittarla, gli streaming però possono dare un po’ di visibilità.
E il mio vinile è uno splendido vinile color diamante trasparente. Sulla visibilità però forse è vero. Anche se non sono neanche un po’ il tipo di artista in cerca di popolarità. Forse un giorno Métron e io metteremo Multiply Intentions in streaming. Chissà. 
Torniamo a Multiply Intentios. Lì canti in quattro lingue, compreso il giapponese, su “Invented Journey,” pur non essendo mai stata in Giappone
“Invented Journey” è una sorta di viaggio immaginato in quel posto meraviglioso. Ho anche usato suoni del canto di cicale e uccelli che vivono in Giappone, oltre che strumenti tipici giapponesi e ho ripreso alcuni elementi del pop d’avanguardia giapponese per creare un senso di essere lì— ho sempre desiderato andarci e ho passato davvero tanto tempo a studiarne la cultura, l’arte, tutto, e così ho potuto ricostruire un Giappone tutto per me, come sentire le onde dell’oceano da un posto lontano dal mare. Magari per qualcuno quel pezzo avrà lo stesso significato che ha per me, quindi con la musica ci siamo capiti. 
Nella tua musica mescoli spesso pop e strutture che rimandano a musica classica. Quanto credi sia importante per la musica pop trarre ispirazione dalla musica classica e classica contemporanea? 
 
Credo che la musica pop prenda molto dalla musica classica, da sempre, sai, armonia, melodia, trucchetti vari, è sono una sorta di regole musicali universali. Se analizziamo la musica pop contemporanea nella sua forma attuale, appare chiaro che ha molto in comune col folclore adattato ai tempi correnti. Ma anche Mozart e altri compositori della Scuola di Vienna hanno ripreso elementi della tradizione popolare nelle loro opere.
Oggi puoi sentire ninnananne, canti di guerra e altre forme trasfigurate nella musica contemporanea. Anche se collegare musica pop e musica classica non è strettamente il mio scopo, mi sembra importante per un artista dare a chi ascolta una qualche nuova nozione sul mondo. La rappresentazione pop di elementi complessi rende più facile percepire quei contenuti, anche se allontana i fan della musica fast-food. Quando creo qualcosa lo faccio assecondando i miei desideri, la cosa che conta di più che la musica che faccio piaccia a me. Se poi piace anche agli altri, super. Ma fare qualcosa solo per compiacere gli altri non è una cosa sana, per come la vedo io.
Come crei i tuoi pezzi? Parti prima dal testo o dalla musica?
Devo ammettere che il testo per me è sempre secondario, prima viene la musica. Prima creo l’armonia, quindi melodia e texture (e questa è una cosa veramente importante) e imposto un tono. Quindi, quasi da ultima per non ultima, la canzone e il testo. Per me è un processo davvero doloroso e complesso, perché non tutti i linguaggi, non tutte le frasi e non tutte le melodie si accomodano bene nella musica che voglio fare, ogni lingua ha il suo carattere, hai bisogno di scegliere il ritmo insieme alle parole. 
Ci sono artisti russi che ti senti di consigliare?
Non ascolto molto pop russo. Per l’elettronica è complicato,  non posso dire che mi piaccia tutto quello che fanno certi artisti, ma alcune cose sì, tipo fIVESIX, ϙue , Igor Bystrov e Anatoly Vapirov.  
E ancora Vladimir Martynov è uno dei miei compositori russi preferiti (forse conoscerai “The Beatitudes” che Paolo Sorrentino ha usato su La grande bellezza), ma la mia opera preferita di Martynov è in un cartone animato—ero una bambina quando lo vidi la prima volta e me ne innamorai  “a prima vista”: https://youtu.be/Dnm9xvd7bDk
E un’altra cosa della mia infanzia è questa:: https://youtu.be/FRANA1IMLb4 FORTEMENTE consigliata ah ah ah
E dopo Multiply Intentions? Credi di tornare a fare ambient strumentale o credi di proseguire a mescolare tendenze ambient con strutture pop?
Perché correre in una sola direzione quando puoi mescolare canzoni e soundscapes, come ho fatto nel mio ultimo album? Non mi piacciono i radicalismo, specie nella musica.  Voglio creare cose che siano vicine al mio cuore, poi chissà cosa sarà. Sul mio soundcloud ci sono un po’ di cose che vanno anche al di là di quelle direzioni. 
Paolo Latini 

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