
credit photo: infinite Jest
I King Hannah chiudono con Milano il loro tour italiano. La band, dopo l’ultimo album pubblicato lo scorso 31 maggio intitolato Big Swimmer, ha letteralmente colpito nel segno e l’attesa per questo concerto era alta. Un pubblico delle grandi occasioni (segnaliamo una folta presenza di over 35) ha raggiunto il Giardino della Triennale di Milano per godere di 1 ora e 15′ di uno show che ha lasciato il segno.
A dir la verità, la serata tra ritardi e inconvenienti tecnici sopraggiunti durante il primo brano, non era poi iniziata sotto i migliori auspici, ma le cose sono prontamente migliorate grazie a una band diventata matura. Negli ultimi tempi abbiamo letto e ci siamo confrontati tanto circa le differenze tra I’m Not Sorry, I Was Just Being Me del 2022 e il recentissimo Big Swimmer e questo live ha sciolto molti dubbi.
Per i fan dell’indie rock, c’è probabilmente qualcosa per cui essere nostalgici, vale a dire, un momento in cui il termine “indie rock” era più strettamente correlato a un insieme specifico di suoni e a una certa prevalenza nella cultura musicale. Pensate al 2005, ai Wolf Parade o al debutto dei Clap Your Hands Say Yeah, ai Decemberists, o al dance-punk dei Bloc Party su Silent Alarm o a Sufjan Stevens di Illinois. A distanza di diciannove anni il mondo musicale è stravolto, o quasi. Il concerto dei King Hannah ci ha ricordato quel periodo: una nitida fotografia, per niente sbiadita, di quella stagione indie rock piena di idee e carattere.
Un live intenso e partecipato
La voce sensuale di Hannah Merrick, accompagnata dalle trame sonore (delicate e graffianti) scuola Thurston Moore/J Mascis/Velvet Underground/Low di Craig Whittle, ha trasportato la folla in un’atmosfera onirica, con un set di canzoni tratte principalmente da Big Swimmer. Nonostante la musica dei King Hannah sia intrisa di malinconia, a farsi apprezzare più dell’effetto sentimentale è la tangibile sensazione di assistere all’‘evoluzione artistica di una band diventata equilibrata e tarata benissimo nella loro esposizione di brani non così facilmente adattabili dal vivo.
La forza del duo (in assetto a quattro dal vivo) risiede nella capacità di creare un sound unico e riconoscibile attraverso poesie sonore basate su testi (come in The Mattress) che giocano con le parole come se a scrivere fosse Wittgenstein intento a elaborare frasi per giochi linguistici destinati a studenti universitari di Comunicazione del corso di Filosofia del Linguaggio.
L’intensità cresce con New York, Let’s Do Nothing, (molto vicina al mondo post punk dei Dry Cleaning) dove i ritmi si fanno più incalzanti e la chitarra di Craig Whittle disegna trame acidule e graffianti, si incendia con la bellissima Lily Pad (un pugno nello stomaco di inaudita bellezza), ed esplode con Big Swimmer e It’s Me and You, Kid.
Dopo i grandi omaggi e le giuste celebrazioni a margine dell’ultimo album, questa tappa dei King Hannah a Milano diventa per i tantissimi presenti un privilegio unico: quello di aver assistito a una band che scriverà un pezzo importante della musica rock contemporanea.
La scaletta
Somewhere Near El Paso
Milk Boy (I Love You)
The Mattress
Go-Kart Kid (Hell No!)
John Prine on the Radio
Suddenly, Your Hand
New York, Let’s Do Nothing
Davey Says
Crème Brûlée
Lily Pad
Big Swimmer
It’s Me and You, Kid
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