Joy Division: il racconto dei primi 40 anni di Closer

Closer è il secondo ed ultimo album in studio dei Joy Division. Pubblicato il 18 luglio del 1980, dall’etichetta Factory Records.

12:05:51  – 18/07/2020


La decadente bellezza del Closer dei Joy Division 

Alcuni album raccontano storie talmente intense da emanare un senso di sacralità già percepibile a scatola chiusa. L’ascolto di questa tipologia di opere va fatto con rispetto e devozione così da assaporare ogni singola nota. All’età di quarant’anni, Closer dei Joy Division è ancora un luogo carico di decadente bellezza e tutte le volte in cui apriamo la sua porta, pur consapevoli di cosa si andrà ad ascoltare, è capace di rapirci e condurci nei più profondi abissi del suono.

Il racconto di una caduta 

Il secondo e ultimo disco in studio dei Joy Division uscì il 18 luglio 1980, due mesi dopo il suicidio di Ian Curtis, avvenimento che inevitabilmente gli conferì il ruolo di ‘testamento’ del cantante. Closer è in realtà così profondamente intrecciato alla vicenda personale di Curtis che, più che un testamento, è il racconto a cuore aperto della sua irreversibile caduta nell’oscurità.

Nel momento in cui vennero effettuate le registrazioni, la vita personale del frontman stava naufragando: la malattia e la conseguente depressione stavano degenerando provocandogli enormi sofferenze. Nonostante le sessioni di registrazione fossero cariche di creatività, la genesi del disco fu travagliata, ma questo non impedì alla band, coadiuvata dalla produzione di Martin Hannet, di realizzare un lavoro innovativo, capace di portare avanti ciò che era iniziato con Unknown Pleasure.

Un disco claustrofobico

L’atmosfera che aleggia sui nove brani è claustrofobica ma affascinante, sembra di entrare in uno spazio stretto in cui l’aria è rarefatta. Si fatica a respirare ma non possiamo smettere di seguire la musica, oscura quanto mai vitale, che conduce sempre più giù, in profondità. Il senso di angoscia è forte nelle chitarre di Atrocity Exhibition, così distorte da sembrare grida di anime divorate dal dolore. Ian questo dolore così intenso da lasciare senza speranza lo descrive nei testi, lo canta con una voce che sembra arrivare da un altro mondo.

I suoni gotici, dark, delineati dalle chitarre e dal basso sono profondi, capaci di dilatarsi in The Eternal, oppure di accelerare quando vengono chiamati a seguire la batteria martellante di Heart and Soul. In questa dimensione trovano spazio i synth e l’elettronica di Isolation, che seppure in perfetta amalgama con gli altri brani, sembra condurre ad un mondo a sé stante. 

Ian ha aperto una finestra che affaccia nella sua mente, ha lucidamente condiviso il suo peso con noi, che inermi e totalmente ipnotizzati possiamo solo stare ad ascoltare poiché non c’è soluzione all’angoscia. ‘Weary inside, now our heart’s lost forever’ canta in Decades, la bellissima resa finale ad un epilogo già scritto.

Conclusioni 

Closer è un album ben focalizzato e innovativo, destinato a diventare un disco seminale per moltissime band a venire. Quarant’anni dopo siamo ancora qui, sulla soglia di quest’uscio bellissimo dove Ian ci aspetta per accompagnarci ancora verso la forza incantatrice del buio. “Take my hand and I show you what was and what will be”.

Chiara Luzi

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