Abbiamo intervistato Matilde Davoli per farci raccontare la genesi di Home uscito il 5 novembre scorso su Loyal To Your Dreams.
00:26:01 – 01/04/2022
Che periodo sta vivendo l’Italia musicale?
Farei un passo indietro. Ho iniziato a far musica nei primi anni 2000. C’era una grande scena indie, si cantava in molte lingue e all’epoca era comunque difficile emergere. Le major non prendevano in considerazione quella scena; con il tempo, presi dalla sterilità della musica commerciale, le major hanno messo le mani sui prodotti di nicchia. Sei, sette anni fa è arrivata l’esplosione. Le major hanno incontrato l’indie e la scena si è compromessa e da allora ci si è adattati ai diktat imposti dalle etichette. Oggi la situazione è alquanto triste.
Esiste una scena “indie” nel 2022 in Italia?
No, non esiste più. Fagocitata e privata dalla sua autenticità. Io mi ritrovo orfana e le major se ne sono appropriate. Pensa agli ultimi anni di Sanremo, tutto si è mescolato. Per carità, a me fa piacere vedere gente come Colapesce esporsi oggi in una grande platea, se lo merita dopo anni di sacrifici. Il problema non è “l’artista” ma è il millantare una “pseudo scena alternativa” che in realtà non esiste.
La tua fuga a Londra e il tuo ritorno in terra natia. Stai avendo difficoltà?
Partirei nel dirti quello che è cambiato dal mio ultimo disco, sei anni sono tanti. Con questo grande abuso della vita condivisa sui social, il modo di consumare l’arte, anzi, fagocitarla, tutto è cambiato. Si salvano solo i libri, ma il resto è alquanto fruito in maniera rarefatta.
Andiamo ad oggi. Sei consapevole che il tuo disco è una voce fuori dal coro rispetto a ciò che oggi si fagocita? Un disco complesso che merita tanti ascolti, non immediato. Come sei arrivata a partorire questa tua creatura. Cosa è cambiato dal “quando lo hai pensato” al “quando lo hai ultimato”.
Con certezza ti dico: è un lavoro estremamente sincero. Non c’è nulla fatto per caso ed è un lavoro realizzato affinché in primis piacesse a me. Quando ho scritto questi pezzi, li ho poi prodotti, arrangiati e mixati. Ero consapevole non fosse un lavoro “commerciale” e quindi vendibile, ma credimi, non mi ha minimamente interessato. Il mio approccio, in fase creativa, è sempre: “realizzare qualcosa che mi facesse sentire bene”. I numeri si possono comunque fare anche con un pubblico differente rispetto a quello mainstream e per fortuna il bacino d’utenza c’è. All’estero funziona, è qui in Italia che si fa ancora moltissima fatica.
Credo sia la fotografia culturale e sociale di un paese. Può cambiare qualcosa?
Drasticamente ti dico… secondo me no. Il mondo musicale al quale mi sento appartenere è in Europa. Io ho vissuto quattro anni a Londra e poi cresci. Fondamentalmente entrano poi in gioco altre dinamiche e vuoi vivere la tua vita in maniera autonoma. Io sono semplicemente tornata a Lecce per queste circostanze. Sono tornata in una piccola città del Sud consapevole comunque di vivere una vita sicuramente più tranquilla e con poco. Avrò sicuramente più soldi e potrò comunque viaggiare di più!
Superato il primo ascolto, mi sono accorto che più che un disco è un flusso di coscienza. Il disco è sicuramente “spigoloso” e a tratti ostico. In certe composizioni sembra tu voglia quasi metter a nudo le tue fragilità.
Il disco mi rappresenta, hai ragione. Questo lavoro è una mia creatura in tutto e per tutto. Io mi costruisco i suoni. Le batterie – ad esempio – le creo al computer e successivamente faccio suonare al batterista quello che io in prima istanza realizzo.
Ti interrompo per dirti: questo disco è totalmente credibile.
Sono rodata per fare delle cose da sola. Ho dei meccanismi che funzionano perfettamente così. Quando ho iniziato a realizzare musica da solo mi è piaciuto subito. Per adesso funziona. In futuro non saprei.
Quale band o artista ti ha maggiormente influenzato nel corso della tua vita?
Sono cresciuta fino a 18 anni ascoltando tantissima musica classica e jazz, totalmente influenzata da mio papà. Poi con la maturità mi sono avvicinata ai Beatles, ai Portishead, passando ai Radiohead e agli Stereolab. The Bends dei Radiohead è il disco che probabilmente mi ha spiazzata di più durante il periodo della formazione. Poi sono una grande fan di Feist, Roisin Murphy e Moloko. Tanta musica mi ha forgiata e probabilmente questi sono i musicisti che maggiormente mi hanno plasmata.
Torna finalmente la musica dal vivo. I piccoli e i grandi palcoscenici che tanto ci sono mancati in questo nefasto biennio. A proposito di grandi festival: ma vogliamo parlare di quella meravigliosa serata al Primavera Sound del 2016?
Ovviamente esperienza unica. Mi porterò dietro sai cosa? la professionalità e l’organizzazione di un festival così grande e al contempo così pieno di professionisti. Dai tecnici luci agli addetti alla comunicazione. Quell’edizione rimane sicuramente nella storia come una delle migliori. Ho un rimpianto però sai? Suonavo a cavallo dei Radiohead e purtroppo non ho potuto vederli! ma ho goduto della meraviglia dei Beach Boys e dei Beach House. Speriamo di tornare a suonare dal vivo in Estate, qualcosa si sta muovendo e sicuramente torneremo alle belle serate…
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