Il 19 luglio del 1974 l’anima di Neil Young trova la sua pace in una spiaggia deserta

 

La spiaggia deserta è uno dei luoghi più catartici che esistano e in cui, grazie a un impeccabile gioco di equilibrio, convivono forze opposte. Proprio a causa di questa sua natura ambivalente è anche il luogo che, metaforicamente, meglio descrive l’animo umano sempre in bilico tra irrequietezza e pace. Ma è anche il posto dove, nei momenti di estrema disperazione, è possibile ritrovare la giusta misura per affrontare i propri demoni.

Di questo potere pacificante ne era ben conscio Neil Young che, durante uno dei periodi più duri della sua vita, trova rifugio nella sua spiaggia spirituale da cui uscirà con il disco capolavoro On The Beach, pubblicato il 19 luglio 1974. Addolorato per la morte dei suoi amici (Danny Whitten e Bruce Berry), sopraffatto dall’enorme successo e deluso dalla mancata uscita di Tonight’s The Night (registrato l’anno precedente, sarebbe poi uscito nel ’75) Young si butta a capofitto nella composizione di questo nuovo disco.

Il quinto album solista, e il secondo della Trilogia del dolore, è un meraviglioso intreccio di country-rock e blues. Sarà la presenza così preponderante di quest’ultimo a disegnare le linee guida degli otto pezzi che compongono l’LP, amplificando l’enorme senso di malinconia che lo pervade. Il sopracitato gioco di equilibrio tra gli opposti comincia immediatamente con l’opener Walk On. I ritmi irruenti e quasi solari della melodia fanno da contraltare al testo pieno di amarezza e disincanto con cui descrive l’ambiente musicale. L’unica cosa da fare è lasciarsi tutto alle spalle, andando avanti, anche se non è semplice quando bisogna gestire il successo.

Difficoltà di cui canta nella languida title track (‘I need a crowd of people/but I can’t face them day to day’) la cui morbida melodia, colma di solitudine, si muove gentile quasi a mimare il ritmo tranquillo delle onde. Questa quiete, però, non è stabile in una società che sta diventando aggressiva. Le chitarre grezze, potenti e quasi funk lo sottolineano in Revolution blues, pezzo ispirato da Manson e dalla sua violenza. Sul finale, la tempesta torna a placarsi nella lunghissima Ambulance blues, in cui il violino segna il percorso di un lungo flusso di coscienza.

Frammenti di paesaggi, la politica, i ricordi si susseguono, quasi come se Young volesse liberarsi da tutto ciò che lo ha portato a questo stato di sconforto. Lui stesso fatica a capire dove voglia andare a parare (‘It’s hard to say the meaning of this song’) ma sicuramente questa purificazione finale lo aiuterà a uscire dalla disperazione. Non sempre all’apice del dolore si raggiunge il punto massimo dell’ispirazione. Nel caso di Neil Young, però, è avvenuto esattamente questo. E alla fine, fra le nubi di quella spiaggia solitaria, la luce ha ricominciato a filtrare.

Chiara Luzi 


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *