I venticinque anni di ‘Purple’ rappresentano, oggi più di ieri, una meravigliosa fotografia degli anni ’90

 

Un giorno di primavera inoltrata di 25 anni fa usciva Purple, il secondo album degli Stone Temple Pilots. Nonostante fossero di base a San Diego, lo stile di questa band non aveva nulla da invidiare a chi faceva grunge a Seattle e nel Washington State, gli avamposti settentrionali della costa pacifica degli States (culla primordiale del genere).

Degno erede dell’album di debutto della band, il celebre Core, anche questo lavoro tesse una serie di canzoni legate da una salda cucitura grunge perfettamente riconoscibile e in linea con quei tempi, dove però i singoli o le canzoni più celebri risultano tali perché contaminate da diversi stili.

L’ascolto è scorrevole, vario e molto fruibile. Se si considera che la registrazione dell’album è stata eseguita in un solo mese, cavalcando il successo repentino che la formazione stava avendo in termini di classifiche e apprezzamenti del pubblico, questo effetto stupisce ancora di più. La consapevolezza e onestà intellettuale di questi artisti risiede nella ghost track jazz/pop My Second Album, parodia del successo commerciale in media res della band.

Con Purple è impossibile non entrare in quelle atmosfere, ormai iconiche, dei primi anni ’90. Interstate Love Song è una serenata grunge con sonorità alt-country che sa essere allo stesso tempo sfrontata e dolce, mentre il crescendo di strumenti in Silvergun Superman contrasta con l’orecchiabile ed energica Big Empty, traccia inclusa nella colonna sonora de Il Corvo. 

La bellezza di questo album sta proprio nell’essere testimone di un tempo in cui il grunge, genere ruvido e alternativo, sapeva tuttavia cogliere diversi aspetti delle turbe giovanili dell’epoca, come il sentirsi rinchiuso in una gabbia, lo scendere a compromessi con l’amore e cercare nuovi modi per affrontare la vita.

 

Yuri Galbiati

 


Scott Weiland – voce
Dean DeLeo – chitarre
Robert DeLeo – basso
Eric Kretz – batteria e percussioni

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