‘Half- Mute’, l’universo parallelo dei Tuxedomoon, compie oggi quarant’anni

11:07:23  – 15/03/2020

Il periodo 1979-1981 è uno dei più creativi della storia del rock. Il terremoto punk aveva aperto la strada ad un’esplosione di creatività senza eguali. Uno degli epicentri della nuova scena è San Francisco, dove è la Ralph Records a fare da catalizzatore. Accanto ai Residents, gli artisti di punta dell’etichetta sono i Tuxedomoon.

La band nasce dall’incontro tra due studenti di elettronica al San Francisco City College, Steven Brown (che canta e suona sax e tastiere) e Blaine L. Reininger (voce, violino, tastiere, chitarre e basso). Ai due si aggiungono presto il bassista e chitarrista Peter Principle, il cantante Winston Tong e l’artista visuale Bruce Geguldig.

Una formazione così anomala non poteva produrre musica convenzionale, e così fu. Il progetto sonoro dei Tuxedomoon attinge a molte fonti (post-punk, elettronica, colonne sonore, classica, musica europea) per creare un insieme che suona unico e irripetibile. Dopo un paio di EP che iniziano a delineare il loro percorso, il 15 marzo di 40 anni fa esce Half-Mute, che insieme al successivo Desire rappresenta il loro apice.

Più fluido e visionario quello, più ruvido e geometrico questo, due facce di una medaglia luccicante. Già dall’iniziale Nazca, coi suoi intrecci di synth e violino, Half-Mute si mostra come un universo parallelo, surreale e lynchiano. 59 to 1 è nevrotica e ossessiva, Fifth Column sembra una jam tra i Joy Division e Morricone, Loneliness ha un andamento marziale e kafkiano, James Whale potrebbe essere la colonna sonora di un noir anni 30, What Use recupera l’urgenza del primo singolo, in Volo Vivace il violino ti trasporta nell’Europa dell’est, KM/Seeding the clouds chiude con le melancoliche note del sax di Brown.

Dopo oltre 40 anni di carriera, divisa tra gli USA e l’Europa che li ha adottati, i Tuxedomoon sono ancora in pista con la loro proposta anomala e ammaliante.

Gabriele Marramà

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