Four Tet – ‘Sixteen Oceans’

 

 

Etichetta: Text Records
Genere: Dance/Ambient/EDM/Minimal
Release: 13 marzo

La Genesi del disco

Respirare. Questo è il principio cardine di ogni pratica di meditazione, ed è il fondamento della sopravvivenza stessa. Quanto spesso sottovalutiamo quest’atto involontario? Per accorgerci della sua importanza dobbiamo costringerci all’introspezione, concentrarci per ascoltarlo e controllarlo. Il suo processo continuo è esattamente come l’onda di un oceano, che si ritrae e si rifrange all’infinito sulla battigia, e si dissolve in parte in spuma inafferrabile. Pubblicato all’alba di una pandemia e di una lunga reclusione globale, il  Sixteen Oceans di Four Tet sembra essere stato elaborato e pubblicato per ribadire l’importanza di un respiro collettivo, e individuale, soffocato dal morbo di una sistematicità esistenziale sfiancante. “Sono contento di sapere che molti stanno trovando l’album così calmante in mezzo a tutto questo. È un sollievo per me averlo pubblicato in un momento in cui sono riuscito a raggiungere uno stato di pace.

La filosofia

“La musica mi aiuta a fronteggiare qualunque cosa.” Ha commentato lo stesso artista in un suo post Instagram qualche giorno dopo la pubblicazione del disco. La ricezione di questo ultimo lavoro del musicista britannico Kieran Hebden effettivamente ci racconta già tantissimo: venato insistentemente di eredità ambient, il decimo album di 4T si colloca nel solco della tradizione orientale, che ha la sua chiave nell’evocazione di pratiche ascetiche per la sua inclinazione meditativa, e in una delle sette lingue più antiche del mondo, il sanscrito.

Le tracce 

A differenza di Morning/Evening, che attinge a piene mani alla musica devozionale indiana, il riferimento a questo modello in Sixteen Oceans è mormorato soltanto nella traccia di chiusura intitolata proprio Mama Teaches Sanskrit, che intreccia sottili ricami di evocazione ambient sul fondo di una scena di vita quotidiana e familiare.

Sedici oceani, uno per ciascun brano: microcosmi flottanti in atmosfere sospese (Harpsicord, Something in the Sadness, Green) dove l’influenza ambient è preponderante, e stanze da ballo metafisiche. È proprio qui, nei luoghi più riusciti del disco, che ci traghettano i sample di vocals di popstar electropop (Ellie Goulding in Baby) e il groove dei loop di Insect Near Piha Beach, vera punta di diamante del disco. In mezzo ai vorticosi arpeggi di una cetra e di cori di sirene si fanno strada l’eclettismo, la delicatezza e, sì, anche la potenza inaspettata delle creazioni sonore di Four Tet. Se non possiamo negare una evidente continuità con il predecessore New Energy, vogliamo azzardare anche che questo disco gli è superiore, per aver saputo intercettare il sentimento del nostro tempo, e per accompagnarci anche oggi in un dancefloor trascendente e celestiale.

Gaia Carnevale 

 

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