Fables Of The Reconstruction, il difficile terzo album dei R.E.M.

Fables of the Reconstruction è il terzo album in studio realizzato dei R.E.M., pubblicato a di giugno del 1985, e prodotto da Joe Boyd.

11:10:25  – 10/06/2021


 

Questione di stile

Avere una propria cifra stilistica immediatamente riconoscibile è prerogativa di molti artisti. Più difficile è conservare sempre la propria identità e allo stesso tempo fare sì che ogni disco suoni almeno un po’ diverso dagli altri. Per i R.E.M. è così. Gli elementi fondanti (la voce ieratica di Michael Stipe, la Rickenbacker di Peter Buck, la ritmica asciutta e tagliente di Mills & Berry) non mancano mai, ma ogni volta vengono declinati in maniera differente, grazie anche ad una tensione creativa che è rimasta più o meno immutata dall’inizio alla fine. Anche per questo è difficile scegliere il miglior disco della band di Athens, Georgia.

C’è chi è più legato al periodo I.R.S., chi ai dischi di successo dei ’90. Fables Of The Reconstruction non è tra i più gettonati, i suoi stessi autori hanno sensazioni discordanti al riguardo, ma quello che sembrerebbe essere un brutto anatroccolo è in realtà un bellissimo cigno.

Ricostruzioni

Nel 1985 i R.E.M. sono reduci da due dischi come Murmur e Reckoning che li hanno portati ai vertici della scena alternativa, ma sentono il bisogno di un cambio di passo. Via quindi la sicurezza del Drive-In Studio del team Mitch Easter/Don Dixon, si vola in Inghilterra, al Livingston studio a Londra. La scelta del produttore ricade sul leggendario Joe Boyd. Lo Zelig del rock, l’uomo dietro al mixer a Newport nel concerto della svolta elettrica di Dylan, il boss dell’UFO Club dove i Pink Floyd suonavano sotto acido.

E naturalmente il mentore di gente come Nick Drake, Fairport Convention e Incredible String Band. Le cose però non filano lisce. Ci sono tensioni interne alla band che li portano ad un passo dallo scioglimento, il feeling con Boyd non scatta, il mixaggio finale lascia tutti insoddisfatti. Ma stiamo parlando comunque di una band in stato di grazia, all’apice della propria creatività. Per cui, a dispetto di tutti i problemi e di tutte le criticità, si sfiora il capolavoro.

Il momento indie dei R.E.M. 

Nonostante sia stato registrato a Londra, o forse proprio per la nostalgia di casa, Fables è un disco profondamente americano, anzi sudista. Un sud gotico, misterioso, non pacificato. Feeling Gravity Pull introduce nel miglior modo al mood del disco, paranormale da provincia profonda come in Stranger Things, la stessa aura di mistero poi avvolge anche Old Man Kensey.

E’ un disco ricco di storie, Fables Of The Reconstruction. Life And How To Live It narra di Brivs Mekis, un vecchio bizzarro di Athens che aveva diviso a metà il suo appartamento, assecondando la sua schizofrenia. Wendell Gee (il pezzo più folk del disco) è dedicato ad un altro eccentrico personaggio, un venditore di auto usate. Musicalmente è sempre il suono jingle jangle della chitarra di Buck a farla da padrone, con la doppietta Maps And Legends/Driver 8 a stendere tutti e Green Grow The Rushes a declinare quel suono in chiave più pop.

Ma c’è spazio anche per deviazioni dal seminato, come Can’t Get There From Here che è la cosa più black e funky che i R.E.M.  abbiano mai inciso. Un disco che si colloca al centro del periodo indie (con la I.R.S.) della band. Poi sarebbe arrivata la Warner Bros e il successo mondiale, ma non ha molto senso fare distinzioni, ognuno dei 15 dischi incisi merita rispetto e ammirazione profonda.

Gabriele Marramà 

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