‘Dry’, il viscerale debutto di PJ Harvey

Dry è l’album di debutto di PJ Harvey, pubblicato nel 1992 dalla Too Pure e dalla Indigo. Il lavoro è prodotto da Head, la stessa artista e Rom Ellis. 

14:52:53  – 30/03/2023


PJ Harvey, l’artista partita da lontano

Cresciuta in una fattoria nel Dorset negli anni ‘70, l’infanzia peculiare di Polly Jean Harvey non può non essere citata quando si parla della sua musica e in particolar modo del suo debutto. In un mondo lontano e quasi alieno rispetto alla Londra che ne accoglierà la musica, la sua istruzione musicale comprende Captain Beefheart, Bob Dylan e Pink Floyd, ai quali si aggiungono i numerosi artisti che i genitori invitano a suonare in paese e dai quali PJ inizia a imparare sassofono e chitarra. 

Questo dato spiega solo in parte l’unicità del disco registrato al Icehouse di Yeovil insieme a Steve Vaughan (basso) e Rob Ellis (batteria); un disco che stenderà tutti come tessere di domino, a partire proprio da Too Pure Records e da John Peel, che scriverà del singolo Dress una recensione molto positiva per il magazine Melody Maker e che inviterà la band a registrare una session per BBC Radio 1. PJ Harvey in seguito dichiarerà che non credeva che le sarebbe stata concessa una seconda possibilità di registrare un album e che quindi ha dato a Dry tutto quello che aveva. E si sente.

Come un pugno in faccia

Il disco è un vero proprio e tour de force nel quale si intrecciano perfomance canore tanto impressionanti quanto diverse tra loro e riff di chitarra cattivi, ruvidi, implacabili perfino. È un disco che parla molto della fine della prima relazione importante per PJ, ma non si limita soltanto a questo, prendendo in esame (o forse sarebbe più appropriato dire ‘attaccando’) anche molti degli stereotipi legati all’immagine della donna, un tema molto a cuore a Polly Jean, sicuramente al centro del celebre photoshoot del solito anno scattato da Kevin Cummins per NME.

Alla luce di queste osservazioni, la scelta dei due singoli, Dress e Sheela-na-gig rispettivamente, non potrebbe essere più azzeccata. Il primo, pubblicato alla fine del 1991, è una cavalcata rabbiosa che racconta la storia di una donna e del suo tentativo di attirare l’attenzione di un uomo mettendosi un vestito tanto appariscente quanto scomodo. Una gemma da ballare la cui ciliegina sulla torta è il falsetto con cui PJ scimmiotta l’uomo in questione.

Il secondo, Sheela-na-gig ricalca il solito tema, con il personaggio femminile che, esaltando i propri tratti forti (le labbra, i fianchi) cerca di attirare un uomo che invece la accusa di essere una esibizionista, paragonandola alle sculture medioevali che danno il nome alla traccia, caratterizzate da una vulva sproporzionata. Questo brano, caratterizzato dagli acuti sul ritornello, è ancor oggi uno dei punti più memorabili dell’album ed è grado di spiegare anche preso singolarmente, il motivo dello straordinario successo di questo disco.

Tra i passaggi più memorabili e impossibile non citare lo struggente blues della opener Oh My Lover, il tremendo groove di basso di O Stella o il ritmo incalzante di Joe, però la traccia che mi ha rapito maggiormente in questa rivisitazione dell’album è Plants and Rags. 

Il nono brano nella tracklist è una ballata folk dal carattere obliquo e sinistro nella quale la voce di PJ Harvey, accompagnata da violini dissonanti e una chitarra acustica, canta di una morte (forse figurata) per mano dell’uomo dei sogni. Questa storia cantata dall’aldilà è uno dei punti in cui è più difficile pensare a quanto l’autrice fosse giovane al tempo e crea la perfetta atmosfera per la coda tetra del disco.

Conclusioni

Ascoltando nuovamente questo album da cima a fondo, col passare di ogni minuto, di ogni traccia, sono sempre più evidenti i motivi che lo hanno reso immediatamente un classico del suo genere: PJ Harvey a soli ventitre anni riesce ad incanalare l’intensità delle emozioni della sua giovane età, cantando del desiderio e della vergogna, della rabbia e dell’amore, del dolore e dell’orgoglio. Il risultato è Dry, un debutto che è una straordinaria eruzione vulcanica e a cui seguirà una carriera altrettanto straordinaria.

Matteo Cioni 


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