Doves – The Universal Want

The Universal Want è il quinto album in studio dei Doves. La band è tornata a distanza di 11 anni dall’ultimo disco. Il nuovo lavoro è prodotto da Heavenly Records.

17:07:37  – 17/09/2020


 

 

Etichetta: Heavenly Records
Genere: pop rock

Release: 11 settembre 2020

Il ritorno dei Doves dopo undici lunghi anni 

Undici anni di assenza dal mondo della musica sono tanti, soprattutto in un decennio nel quale il numero delle pubblicazioni è aumentato proporzionalmente alla facilità di ascoltare i dischi gratis o comunque con un investimento economico estremamente limitato.

Però, i Doves non si sono fatti spaventare: del resto, ne avevano già viste di tutti i colori nel lungo periodo alla pubblicazione dell’acclamatissimo esordio e anche nel corso dei nove anni trascorsi tra il suddetto esordio e il quarto e fino ad ora ultimo album.

L’humus musicale del decennio Zero è stato dapprima terreno fertile per le coordinate stilistiche sempre molto ben definite dei tre, ma poi si è trasformato via via in un territorio sempre più aspro, e il mancato seguito a “Kingdom Of Rust” era stato visto dai più come un segno di resa, come una sorta di dichiarazione secondo cui non c’era più spazio per loro tra gli interessi degli appassionati.

Ma più passavano gli anni, più forte si faceva il rumore delle voci di chi sentiva la mancanza dei Doves, e allora Jimi Goodwin e i fratelli Williams devono essersi detti che ormai il momento era propizio, che tanto dei side project di uno o degli altri non interessava niente a nessuno, che la gente, tanta gente, rivoleva i Doves, e solo i Doves. Ed ecco il ritorno solo sui palchi nel 2019, e ora quello nei negozi di dischi, dove pare che addirittura siano state vendute più copie di questo lavoro rispetto a quelle dei successivi 5 in classifica messe insieme. Un riscontro davvero straordinario.

Un lavoro ben riuscito 

Alla prova dell’ascolto, l’attesa è stata ripagata quasi del tutto. Diciamo quasi perché l’unico rilievo che può essere mosso a questo disco è che difficilmente l’ascoltatore prenderebbe anche solo una canzone da esso per compilare un eventuale best of della band. Sia quando i tre si avventurano in canzoni più dilatate e suggestive, che quando provano a confezionare brani più concisi e con melodie più immediate.  Infine, anche quando il mood si fa più prettamente introspettivo, non raggiungono le vette toccate nei quattro dischi precedenti.

Episodi come “Broken Eyes” o “Prisoners” non possono competere con le varie “Catch The Sun”, “Pounding”, “Black And White Town” e “Kingdom Of Rust”, né una “Cathedral Of The Mind” sta al passo con una “The Man Who Told Everything” o una “Almost Forgot Myself”, per non parlare di quanto sia distante la title track da capolavori come “The Cedar Room” o “Satellites”.

Le conclusioni 

Per il resto, però, si tratta di un lavoro ben riuscito, nel quale tutti i pregi dello stile della band vengono nuovamente messi in luce al meglio. È bello ascoltare queste nuove composizioni e ritrovare il tocco melodico superiore. Ma anche il timbro vocale caldo, avvolgente e, all’occorrenza, fermo e deciso, e gli arrangiamenti basati sugli intrecci tra una gran quantità di linee strumentali che creano armonie e sovrapposizioni.

Un perfetto equilibrio tra concretezza e onirismo fanno sì che chi ascolta possa facilmente trovare uno spazio in cui immergersi con tutti i sensi e a quel punto lasciarsi trasportare in un mondo musicale articolato e, allo stesso tempo, in grado di scorrere con particolare fluidità.

L’avevamo già sentito, e fatto meglio, per ben quattro volte, tanti anni fa? Sì. In seguito, c’è stata qualche band paragonabile ai Doves sotto questo punto di vista? No. Ci era mancato tutto questo? Eccome. Tanto basta per salutare con favore un ritorno come questo. Il tipo di esperienza musicale legata all’ascolto di qualunque disco dei Doves la si può ritrovare solo in un altro disco dei Doves, e questo quinto album ha la qualità necessaria a farci rivivere ciò che non abbiamo vissuto con nessun altro progetto musicale. Buttiamoci, quindi, a capofitto in questo ascolto, e non ci perdiamo in paragoni con i dischi precedenti, perché comunque è bello anche questo, e può bastare così.

Stefano Bartolotta

 

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