Etichetta: Matador
Genere: Desert pop, stoner, hard rock
Release: 25 ottobre
Come suonano le Desert Sessions sedici anni dopo, nel 2019? Il tentativo di volgere le lancette all’indietro, cercando anacronisticamente di rievocare le sonorità puramente stoner metal del passato, è stato scongiurato grazie all’innesto nel collettivo di elementi del tutto nuovi. Una nuova coloratissima gestione, dove si rivede qualche amico di vecchia data di Homme (il buon Jake Shears, Billy Gibbons, Matt Sweeney), e se ne incontrano di nuovi, misteriosi e inaspettati (Mike Kerr, Les Claypool, Stella Mozgawa, Carla Azra, TOORST HELPFT). Sia nel primo, che nel secondo volume, ciò che risulta evidente è la voglia di esagerare, di non considerare neanche per un momento l’ansia da prestazione.
I brani sono costruiti, nella loro stratificazione, per generare un caotico vortice di emozioni, ma in cima alla lista l’imperativo non scritto è “sorprendi!”. Ruvida, ed estatica al medesimo tempo, risulta Move Together, trascinata prima da quell’alcolista di Billy Gibbons, e poi fatta detonare ad arte dal basso di Claypool. Roses in Noses traccia che segue, è la più esaltante e imprevedibile del disco: Homme intona un “inno alla gioia” che si divide in quattro sezioni, e che vede coinvolte ben tre chitarre: quella del californiano, Matt Sweeney e il buon Gibbons. Il risultato finale è un brano Desert rock come Ginger Elvis non ne produceva da anni, che fa volare. Altrettanto ispirata la strumentale e psichedelica Fare East From The Trees, che ricorda in grande le sonorità di Lightning Song (Rated R) e viene impreziosita dal basso di un Les Claypool davvero in forma e dal duo di batterie Mogzawa-Arza. La ballata epica If You Run chiude la prima parte del disco.
Il secondo volume viene aperto al fulmicotone dalla voce di Mike Kerr dei Royal Blood, dalle chitarre violentissime di Homme e Sweeney, e dai cori di Jake Shears in Crucifire. Tutto per arrivare alla jam più drogata dell’anno: Chic Tweetz. Il comico Matt Berry presta la sua voce per dare vita ad un fantasioso dialogo tra lui ed un misterioso personaggio scandinavo di nome Toornst Helpft, dall’accento incredibilmente goffo e caratteristico. Le sonorità junkie completano il lavoro, rendendoci partecipi di un trip totalmente delirante. Gli altri brani che completano il disco sono la riflessiva Something You Can’t See, con una grande interpretazione di Jake Shears, e la conclusiva Easier Than Done, pezzo che rimanda fortemente alle sonorità di …like Clockwork e che chiude questa buona annata.
La particolarità di questo capitolo è senz’altro quella di aver fatto rivivere una esperienza simile a quella dei fasti del passato, ma con una caleidoscopica leggerezza. Potremmo definire il genere di riferimento “desert pop” o “neo-stoner”, per il modo in cui tutto riporta agli intenti del collettivo, seppur con un budget più alto e una consapevolezza superiore rispetto ai precedenti capitoli. Mancando tutti i membri storici del collettivo, l’unica strada da seguire è stata anche quella vincente. Homme, nella duplice veste di compositore/produttore, abbandona tutte le preoccupazioni analizzate nei precedenti dischi dei QOTSA, incidendo probabilmente l’album che i fan di vecchia data di Kyuss e Queens of The Stone Age aspettavano da tempo. Variopinto.
Vincenzo Papeo