Desert Sessions – ‘Vols.11-12’

 

 

Etichetta: Matador 
Genere: Desert pop, stoner, hard rock
Release: 25 ottobre

Che a Homme mancasse molto la chimica che si crea nel deserto, l’aveva fatto capire nei testi di due brani contenuti rispettivamente in Like Clockwork e Villains: My God Is The Sun e Feet Don’t Fail Me Now. In Villains, ultimo album dei Queens Of The Stone Age, Homme aveva sconvolto i più con la totale assenza di collaboratori esterni. Da quasi dieci anni i QOTSA rappresentavano l’unica occasione di vedere all’opera più artisti, che spesso avevano poco o niente in comune tra loro, alle prese con il tentativo di dare luce a qualcosa che andasse al di là dei loro abituali canoni. Questo fino al 2017, appunto, anno in cui Homme decise di andare avanti nel lavoro compositivo con la line-up ufficiale dei QOTSA, togliendoci anche l’ultima speranza di respirare un po’ di quella fattanza allucinogena che regnava nelle Desert Sessions. Ma ecco che, proprio quando ci eravamo quasi dimenticati di quell’oasi stoner che accoglieva qualunque freak avesse qualcosa da dare, quest’anno è arrivata la notizia di due nuovi Volumi in arrivo dalle Desert Sessions.

Come suonano le Desert Sessions sedici anni dopo, nel 2019? Il tentativo di volgere le lancette all’indietro, cercando anacronisticamente di rievocare le sonorità puramente stoner metal del passato, è stato scongiurato grazie all’innesto nel collettivo di elementi del tutto nuovi. Una nuova coloratissima gestione, dove si rivede qualche amico di vecchia data di Homme (il buon Jake Shears, Billy Gibbons, Matt Sweeney), e se ne incontrano di nuovi, misteriosi e inaspettati (Mike Kerr, Les Claypool, Stella Mozgawa, Carla Azra, TOORST HELPFT). Sia nel primo, che nel secondo volume, ciò che risulta evidente è la voglia di esagerare, di non considerare neanche per un momento l’ansia da prestazione.

I brani sono costruiti, nella loro stratificazione, per generare un caotico vortice di emozioni, ma in cima alla lista l’imperativo non scritto è “sorprendi!”. Ruvida, ed estatica al medesimo tempo, risulta Move Together, trascinata prima da quell’alcolista di Billy Gibbons, e poi fatta detonare ad arte dal basso di Claypool. Roses in Noses traccia che segue, è la più esaltante e imprevedibile del disco: Homme intona un “inno alla gioia” che si divide in quattro sezioni, e che vede coinvolte ben tre chitarre: quella del californiano, Matt Sweeney e il buon Gibbons. Il risultato finale è un brano Desert rock come Ginger Elvis non ne produceva da anni, che fa volare. Altrettanto ispirata la strumentale e psichedelica Fare East From The Trees, che ricorda in grande le sonorità di Lightning Song (Rated R) e viene impreziosita dal basso di un Les Claypool davvero in forma e dal duo di batterie Mogzawa-Arza. La ballata epica If You Run chiude la prima parte del disco.

Il secondo volume viene aperto al fulmicotone dalla voce di Mike Kerr dei Royal Blood, dalle chitarre violentissime di Homme e Sweeney, e dai cori di Jake Shears in Crucifire. Tutto per arrivare alla jam più drogata dell’anno: Chic Tweetz. Il comico Matt Berry presta la sua voce per dare vita ad un fantasioso dialogo tra lui ed un misterioso personaggio scandinavo di nome Toornst Helpft, dall’accento incredibilmente goffo e caratteristico. Le sonorità junkie completano il lavoro, rendendoci partecipi di un trip totalmente delirante. Gli altri brani che completano il disco sono la riflessiva Something You Can’t See, con una grande interpretazione di Jake Shears, e la conclusiva Easier Than Done, pezzo che rimanda fortemente alle sonorità di …like Clockwork e che chiude questa buona annata.

La particolarità di questo capitolo è senz’altro quella di aver fatto rivivere una esperienza simile a quella dei fasti del passato, ma con una caleidoscopica leggerezza. Potremmo definire il genere di riferimento “desert pop” o “neo-stoner”, per il modo in cui tutto riporta agli intenti del collettivo, seppur con un budget più alto e una consapevolezza superiore rispetto ai precedenti capitoli. Mancando tutti i membri storici del collettivo, l’unica strada da seguire è stata anche quella vincente. Homme, nella duplice veste di compositore/produttore, abbandona tutte le preoccupazioni analizzate nei precedenti dischi dei QOTSA, incidendo probabilmente l’album che i fan di vecchia data di Kyuss e Queens of The Stone Age aspettavano da tempo. Variopinto.

Vincenzo Papeo 

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