Dall’incontro tra due splendide personalità nasce la creatura Suede

Suede è l’album discografico di debutto del gruppo guidato da Brett Anderson, pubblicato il 28 marzo ’93 dalla Nude Records.

11:34:02  – 28/03/2021



Suede, Believe the hype

Il problema dell’hype è che, ogni tanto, risulta più che giustificato, e ogni volta che qualcuno dovesse fare affermazioni tipo: “Ma chi si credono di essere, quelli lì? Hanno appena iniziato e sono tutti lì a lodarli senza motivo”, qualcun altro potrebbe rispondere “Beh, del resto era capitato lo stesso agli Suede, magari è roba buona anche stavolta”.

E, statene certi, qualunque attenzione dovesse attirare su di sé un gruppo di oggi, non farà mai effetto come finire sulla copertina del Melody Maker senza aver pubblicato nemmeno un singolo, ma l’allora quartetto londinese non ha certo accusato la pressione, dando alle stampe un trittico di singoli azzeccatissimi, comprese le b side, e un disco di debutto il cui unico difetto, se così lo vogliamo chiamare, era dovuto al fatto che alcune delle suddette b side erano meglio di certe canzoni finite sull’album. Per il resto, l’omonimo debutto degli Suede è un lavoro ispirato, stiloso e ricco di personalità, un disco di cui innamorarsi perdutamente e in cui ogni cosa è perfettamente al posto giusto.

La chitarra come un fiume in piena

Sappiamo che Brett Anderson aveva fondato gli Suede assieme a Justine Frischmann quando i due erano fidanzati, e che poi la rottura sentimentale portò lei a lasciare la band e a fondare a propria volta le Elastica. Bernard Butler era arrivato per ultimo, il suo talento era stato subito manifesto a tutti, ma il problema era che anche Justine suonava la chitarra, e quindi per forza i due sono stati forzati a trovare un’alchimia che, però, non arrivava. Quando Bernard si è trovato a essere l’unico chitarrista, si è finalmente sentito libero da ogni vincolo e ha potuto sfogare tutta la propria creatività.

Queste cose le racconta Brett nella propria autobiografia, ma che il lavoro alla chitarra di Bernard sia quanto di più creativo si possa immaginare in ambito pop-rock lo si può ascoltare facilmente lungo tutto lo scorrere del disco. L’ottimo bilanciamento tra una fantasia particolarmente fervida, una vitalità viscerale e straripante e la capacità di veicolare il tutto in binari compatibili con la forma canzone è il motore principale di tutto il lavoro, e crea la perfetta ambientazione per valorizzare al meglio il carisma vocale e lirico dell’altro protagonista, Brett Anderson.

Brett Anderson: in equilibrio tra coolness e umanità

Ognuno ha certamente la propria band e il proprio frontman preferito legato agli anni Novanta, ma se vogliamo farne una questione di coolness, era difficile uscire dalla dicotomia Brett Anderson – Jarvis Cocker. Due icone di stile, due personaggi estremamente carismatici, capaci di catturare l’attenzione di un’ampia fetta di pubblico sia con la propria voce, che con il proprio look, che con le parole giuste messe al posto giusto nei testi. La differenza tra i due, però, è netta in termini di intensità emotiva: Jarvis era l’emblema del disincanto, mentre Brett ci metteva tutta l’adrenalina e l’umanità possibile.

Il velluto del suo timbro vocale era ben più ruvido rispetto a quello di Jarvis, quasi abrasivo, e la morbidezza e il calore nascondevano, nemmeno troppo velatamente, una forte tensione emotiva e un gran bisogno di sfogarsi. Anche qui, leggere l’autobiografia può aiutare a capire, nel senso che Brett proveniva da una famiglia non molto agiata economicamente nella quale venivano sempre incoraggiate le tendenze artistiche, ma, così come per il lavoro di Bernard alla chitarra, basta ascoltare o leggere ciò che viene cantato, oltre al modo in cui lo si canta, per rendersi conto che Brett ne aveva dovuti ingoiare di rospi, che non si sentiva per nulla in sintonia col mondo, e che, soprattutto, non aveva remore a dirlo e, allo stesso tempo, a cercare una condizione migliore.

Una fusione unica e difficile da mantenere

Il fatto che due musicisti così dotati nei propri rispettivi campi siano riusciti a non cercare di sopravanzarsi l’un l’altro, ma di far sì che la somma delle proprie abilità producesse un risultato in cui ognuno dei due valorizzava i punti di forza dell’altro, è un unicum all’interno di un panorama britannico nel quale ogni band importante aveva uno e un solo leader riconosciuto, dallo stesso Jarvis, a Damon Albarn, da Noel Gallagher, agli esempi femminili rappresentati proprio da Justine Frischmann e da Loise Wener.

Gli Suede del debutto, invece, ne avevano due di leader, due forze propulsive che sono riuscite a fondersi per raggiungere un risultato che, da sole, non avrebbero mai nemmeno avvicinato. Sono miracoli che bisogna semplicemente salutare con favore, senza aspettarsi che possano durare nel tempo, infatti non è durato, e se Brett, sempre nell’autobiografia, cita ragioni extra musicali per la rottura e, molto onestamente, si prende molte colpe, non è detto che, se anche i due fossero andati d’accordo a livello personale, il miracolo si sarebbe ripetuto.

Per fortuna, i dischi sono una testimonianza eterna di quando, artisticamente, tutto si incastra al meglio, e, ancora oggi, a 28 anni di distanza, ascoltare queste canzoni dà un’emozione che ben pochi altri dischi associati al britpop sono in grado di dare dopo tutto questo tempo.

Stefano Bartolotta

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