‘Crooked Rain Crooked Rain’, il compendio alternativo dei Pavement

Era la prima metà dei nineties, sicuramente, e Stephen Malkmus stava prendendo preventivamente le distanze da una serie di questioni. Dal suo “Syd Barrett”, in primis: il batterista Gary Young, che non aveva la grandezza artistica del fondatore dei Pink Floyd, ma aveva dato un garage ai nascituri Pavement e distribuiva generosamente ortaggi prima dei live. Dalla “bassa fedeltà” e da un album, quello del debutto, esploso troppo fragorosamente. Da un successo per il quale diceva di essere vestito, salvo poi indossare gli abiti al contrario per autodifesa. Cobain era ancora in vita, ma ancora per poco; prima della morte del frontman dei Nirvana per eccesso di empatia, depressione, una moglie fuori dagli schemi, le balle della stampa specializzata e non, le major, l’eroina a scopi terapeutici, gli incontri ravvicinati del quarto tipo, o chissà per cosa, ecco… poco prima di tutto questo Malkmus aveva scritto un album per fare capire al mondo che non gli importava un cazzo di essere il Re Mida dell’indie, o di vendere quanto i Nirvana.

L’album si chiamava Crooked Rain Crooked Rain, e il mondo avrebbe poi capito anche troppo bene il concetto. La critica parlò di quest’album come un punto di svolta per i Pavement, in quanto la qualità dell’audio era senza alcun dubbio superiore rispetto a Slanted and Enchantment. La lezione più importante per Malkmus e Scott Kannberg era quella che avevano imparato da Lou Reed, Sonic Youth e Pixies, il lo-fi era più un mood ordinario, un modo per contrastare chi aveva deciso di recitare la parte del protagonista nel film della vita. Ma era falso. Era fasullo, tanto quanto il cantato slacker e le smorfie da Jay Leno prima di eseguire Cut Your Hair, brano che gli avrebbe consentito una certa popolarità, e che prendeva a sberleffi tutti ciò che, di converso, andava forte in quel momento.

Falso perché? Perché ogni episodio di questo disco dimostra, nonostante i testi sembrino sintatticamente scritti da un collegiale (o forse proprio per questo), un senso di profonda appartenenza verso gli ultimi della scala sociale, un senso di profondo disprezzo verso tutto ciò che viene alterato dalle mode del momento, la nostalgia per un’era della quale non avevano potuto calcare nessun palco. Era bene dissimulare al meglio questi aspetti, giocare con i generi musicali e bullizzare Billy Corgan (non c’era niente di personale nei versi finali di Range Life, come affermerà Malkmus in seguito, confessando addirittura un certo gradimento per gli Smashing Pumpkins) e gli Stone Temple Pilots.

Crooked Rain Crooked Rain è composto da tanti (micro) elementi che compongono un capolavoro autentico. L’intro di Silence Kid/Silence Kit, simile al soundcheck di una band che suona da due settimane, prima del reale inizio della canzone, tanto per seminare un dubbio legittimo su ciò che avremmo ascoltato a breve. La dicotomia in Elevate Me Later: il cartello con su scritto a caratteri cubitali: NON SIAMO STAR, con tanto di finta chiusura da band arena rock per rendere al meglio l’antifona. L’outro più scuro della pece di Stop Breathin’: Sonic Youth che indicano la via agli Slint. Il diavolo nei dettagli di Cut Your Hair, la hit che non sapeva di esserlo. Nasce una band diversa ogni giorno a New York, una grande band, di cui poi non si ricorda abitualmente nulla, ma l’industria lo sa quanto può vivere di rendita. Lo scazzo noir narcotizzato di Newark Wilder.

Unfair, ovvero la rabbia hardcore dei californiani del nord nei confronti di quelli che considerano solo il sud dello Stato (BEVERLY BRUCIA!). Gold Soundz è un manuale su come si scrive il brano non convenzionale su una rottura. 5 – 4 = Unity è la versione psych della celeberrima Take Five di Dave Brubeck, e non serve aggiungere altro. Quell’alt-folk genuino di Range Life e la voglia di schernire anche solo l’idea di fare i conti con una vita da headliner. Il tappeto di piano “out of the blue” di Heaven Is a Truck. Hit the Planet Down che distorce ogni forma artistica congenita in Scott Kannberg. Fillmore Jive con la chiusura noise da lacrime.

L’era del rock and roll è morta, il punk l’ha ammazzata negli anni ’90, e a Stockton hanno bisogno di dormire per non piangere. Ma quale fu il palco che non riuscirono a calcare per via degli insulti a Billy Corgan? Era Lollapalooza. No, era Fillmore. Che importa oramai, tanto sappiamo bene che Malkmus, nel frattempo, non è diventato giudice di un talent show, Crooked Rain Crooked Rain è considerato all’unanimità un album di rara bellezza, e tanto ci basta.

Vincenzo Papeo 

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