“Credo di aver iniziato a cantare ancora prima di parlare.” A tu per tu con Melanie De Biasio


Melanie De Biasio è un’apprezzata jazzista belga di origini italiane. La musicista di Charleroi ha iniziato fin da bambina ad approcciarsi alla musica, studiando balletto prima e suonando il flauto al conservatorio poi, mentre nel 2007 è uscito il suo primo LP, A Stomach Is Burning. In seguito Melanie è stata messa sotto contratto dalla PIAS, con cui ha realizzato due ulteriori album, tra cui il recente Lilies (2017). Tra pochissimi giorni – e più precisamente sabato 9 novembre – la Di Biasio tornerà in Italia per una data al Teatro della Triennale di Milano (all’interno del JAZZMI 2019) e noi di Infinite-jest.it ne abbiamo approfittato per scambiare due chiacchiere con lei al telefono.

Ciao Melanie, grazie per il tempo che ci stai dedicando. Sabato prossimo tornerai in Italia a suonare. Sei contenta? Che cosa ti aspetti dal tuo concerto a Milano?

Sono molto contenta di venire a suonare in Italia. È la terra delle mie origini, quindi per me venire in Italia significa rivedere dalla mia famiglia. È davvero un piacere tornare. Credo che sia la mia seconda volta a Milano.

L’unica volta che ti ho vista live è stata lo scorso anno al Sonic City di Courtray nelle Fiandre Occidentali. Il festival era curato da Courtney Barnett: cosa ti ricordi di quel festival? Per me è stato molto bello. C’erano tantissime musiciste e aveva un’ottima line-up.

Eri lì, davvero? Fantastico! Il festival e la sua organizzazione erano davvero belli e interessanti. Mi è piaciuto molto suonare lì. È stato il mio primo concerto insieme ai musicisti, e ne sono stata davvero entusiasta.

Tuo padre è italiano. Ci puoi parlare delle tue origini italiane?

Provengo da Montereale Valcellina in provincia di Pordenone, Friuli. Abbiamo una casa lì e ci vado ogni anno per due settimane. Ho ancora alcuni parenti lì. Mi piace e mi ispira questo paese: ci sono le montagne, sei in contatto con la natura, si mangia bene e si gustano i sapori.

Per te, quindi, è un piacere tornare a casa tua tutti gli anni?

È più di un piacere. Per me è una piccola parte di paradiso.

Ho letto che hai iniziato a suonare il flauto quando avevi appena otto anni. Pensi che possa aver influenzato la tua carriera musicale? Può essere stato in un certo senso un inizio per te?

Sì, sicuramente. Quando ero al conservatorio ho deciso di suonare il flauto perché mi mi ricordava la voce di un bambino. Credo di aver iniziato a cantare ancora prima di parlare. Non ricordo bene. Suonavo il flauto come se fosse una continuazione della mia la voce. È la gioia di una melodia semplice.

Nel 2002 sei stata in tour in Russia e ti sei ammalata, rimanendo senza voce per circa un anno. Cosa ha significato per te questo episodio? Come è stato riprendersi? 

Credo che sia stato l’inizio della mia storia, il vero modo per esprimermi e comunicare con la voce. Se perdi la cosa che ami di più, quando la ritrovi capisci che non vuoi più esagerare, che vuoi cercare un modo per tornare a ciò che già avevi. Ho perso la voce ma ho cercato di concentrarmi su ciò che avevo ancora. All’inizio ho cercato di trovare l’ispirazione nella ricchezza dei suoni, ma senza più calcare la  mano, solo attraverso la semplicità delle sonorità. È stato l’inizio della mia esplorazione del sound universale. Ho iniziato senza avere nulla e ho cercato un nuovo modo per esercitare il mio modo di cantare in una maniera molto semplice e gioiosa.

Il tuo disco più recente si chiama “Lilies”: ti posso chiedere da dove proviene questo titolo? Che significato ha per te?

È il titolo di una canzone. Il bocciolo di questi fiori è qualcosa di molto intimo e sensuale.

Quindi è correlato direttamente alla tua musica?

Sì e anche al processo di registrazione. Ero molto concentrata su cosa fare soltanto con un microfono e su cosa esplorare con la mia voce. Il disco si focalizza su tutti i suoni che la bocca riesce a creare son il respiro. “Lilies” per me era come un fiore che sbocciava dalla bocca e dalle labbra.

Volevo proprio chiederti del tuo processo creativo. Come nascono le tue canzoni? Di solito da dove prendi l’ispirazione, mentre le scrivi, oltre dai fiori ovviamente?

Dipende da tanti fattori. Non ho un modo in particolare di scrivere, alcune volte proviene da una conoscenza delle parole che devono essere scritte e condivise, altre volte viene da una melodia e altre ancora da una linea di basso. Ci sono tante variabili.

Secondo te quali sono stati i principali cambiamenti per questo tuo ultimo album rispetto ai tuoi lavori precedenti?

È una nuova generazione di una lunga storia che è iniziata con “No Deal” ed è poi proseguita con “Blackened Cities”. Sono come tre capitoli differenti di una lunga sequenza. È qualcosa di più intimo.

Credi che l’improvvisazione sia una parte importante della tua musica?

Penso che i concerti live siano fondamentali. Quando saliamo sul palco non abbiamo mai arrangiamenti predefiniti. Quando andiamo su un palco sappiamo come iniziare una canzone, ma non come la costruiremo insieme. Alcune volte sappiamo che suoneremo quella canzone e poi un’altra e un’altra ancora, ma non sappiamo se le suoneremo in sequenza o come passeremo da una all’altra. Altre volte canto a cappella senza che i musicisti lo sappiano. Penso che sia la tensione a renderci concentrati. Questa urgenza e pressione tengono in tensione anche il pubblico. Corriamo dei rischi ogni sera. Non sarà mai lo stesso concerto, ogni serata è differente. I nostri concerti live sono molto liberi, e credo che sia importante per il pubblico. Non mi piace ripetermi.

“Lilies” ha origini nel jazz, blues, trip-hop e tanti altri generi. Posso chiederti quali sono state le più importanti influenze musicali per questo album?

Non lo so. Non avevo aspettative prima di prendere in mano il microfono e di andare in studio insieme a ottimi musicisti per esplorare il da farsi. Che cosa mi ha ispirato? La vita, la morte,  l’andare in tour, l’amore.

Stai già lavorando su nuovo materiale?

Sì, sto lavorando su qualcosa di nuovo, ma è ancora molto presto.

Grazie mille, Melanie. A presto.

 

Antonio Paolo Zucchelli

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