Compie 50 anni ‘Pink Moon’, il testamento artistico di Nick Drake

Pink Moon è il terzo e ultimo album del cantautore inglese Nick Drake, pubblicato il 25 febbraio del 1972.

12:20:30  – 25/02/2022



Time has told me

Chissà. Se Nick Drake, in uno scenario da Canto di Natale dickensiano, avesse potuto vedere il futuro. Avrebbe visto un culto verso la sua musica ridotto nei numeri ma devotissimo, con tanto di pellegrinaggi a Tanworth-in-Arden, le sue canzoni usate per le pubblictà delle auto, centinaia di cover, innumerevoli quanto inutili tentativi di emulazione.

Forse sarebbe ancora tra noi, forse no. Anima pura e fragile, timidissimo e scontroso fino al patologico, ma insieme diperatamente bisognoso di amore e di apprezzamento per la sua arte. Nè l’ingenuità e il candore di Five Leaves Left nè la raffinatezza di Bryter Layter avevano minimamente scalfito l’indifferenza di un pubblico in tutt’altre faccende affaccendato. Il Drake che nell’ottobre del 1971 si presenta al Sound Techniques di Londra per registrare col fido tecnico del suono John Wood , in sole 2 notti, è un uomo allo stesso tempo disilluso e determinato.

Pretende che le canzoni siano registrate così come sono state concepite, nude e crude, solo chitarra e voce (c’è giusto una overdub di piano nella title-track). Prendere o lasciare. Chris Blackwell, il boss della Island a cui il nastro viene recapitato, prende.

Poor Boy

Pink Moon esce il 25 febbraio del 1972, in copertina un dipinto del pittore surrealista Michael Trevithick. Il disco è la quintessenza dell’arte di Drake. La musica è scarna, ridotta all’osso, senza le orchestrazioni di Robert Kirby e senza gli arrangiamenti sofisticati di John Cale. C’è la chitarra magistralmente suonata da Nick (Joe Boyd ha spesso dichiarato che Drake è il miglior chitarrista tra quelli con cui ha lavorato, e ne ha frequentati tanti), che attinge tanto alla tradizione del folk britannico quanto alla musica classica (respirata fin da piccolo per via della madre Molly, pianista dilettante) e crea un universo sonoro fuori dalle gabbie temporali, che suona fresco ed attuale anche adesso. C’è una voce così british, che sembra distaccata e lontana ma ti avvolge come un abbraccio.

I testi descrivono un umore tetro, ma ancora squarciato da sporadici raggi di sole. C’è l’inadeguatezza di Parasite (And take a look you may see me on the ground/For I am the parasite of this town) e il desiderio di trovare il proprio posto nel mondo di A Place To be (Now I’m darker  than the deepest sea/Just hand me down, Give me a place to be). C’è la voglia di andare avanti con l’eterna commedia del quotidiano di From The Morning (So look see the sights/The endless summer nights/And go play the game that you learnt/Fom the morning) e la consapevolezza di essere già altrove di Things Behind The Sun, forse la miglior canzone mai scritta da Drake (Don’t be shy you learn to fly/And see the sun when day is done). Sono solo 28 minuti e spicci di canzoni, ma contengono l’eternità.

Fruit Tree

Il periodo che va dall’uscita di Pink Moon al dannato 25 novembre del 1974 deve essere stato un vero e proprio calvario per Nick. L’insuccesso del disco, che vendette meno dei precedenti, diede il colpo di grazia ad uno spirito già così provato e instabile. Sono anni di profonda depressione, in cui  la manciata di canzoni scritte e pubblicate solo postume hanno le sembianze di un triste presagio.

Molto si è scritto sull’abuso di Tryptizol in quella notte da cui non si è mai risvegliato. Atto consapevole? Tragica fatalità? Non lo sapremo mai, ma non è così importante. Quello che è importante è che lui, da allora, continua a vivere e a far innamorare le persone con la sua arte immortale.

Gabriele Marramà

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