Compie 39 anni ‘Remain in Light’: la rivoluzione ritmica dei Talking Heads

 

Remain in Light, uscito l’8 Ottore 1980, rappresenta l’apice creativo dei Talking Heads. David Byrne, Chris Frantz, Tina Weymouth e Jerry Harrison hanno già alle spalle tre ottimi e acclamati album, che ne hanno fatto uno dei nomi di punta della scena post-punk/new wave: la nevrosi punk di 1977, l’efficace replica di More Songs About Buildings and Food, il white funk di Fear of Music. 

Ma la band che nei mesi di luglio e agosto 1980 entra ai Compass Point di Nassau per registrare con la regia di Brian Eno il nuovo disco ha una consapevolezza nuova, nonostante i dissidi tra Byrne e la coppia Frantz/Weymouth, che reclama maggiore collaborazione. Alla già singolare miscela di post punk, funk e pop si unisce una massiccia influenza afrobeat, di Fela Kuti in particolare. Le canzoni nascono in un’atmosfera rilassata, da jam collettive, poi montate in loop e assemblate in studio dalla sapienza produttiva di Eno, che condisce il tutto con massicce dosi di elettronica e con i contributi in fase di post-produzione degli ospiti Nona Hendryx, Adrian Belew e John Hassell. Le liriche, per ovviare al blocco dello scrittore di Byrne, nascono da flussi di coscienza e sono anch’esse ispirate dai miti e dai ritmi dell’Africa.

Il risultato finale mostra un disco compatto e coeso dalla prima all’ultima nota, con un suono ancora adesso all’avanguardia, che amalgama efficacemente psicosi metropolitane e tribalismi terzomondisti. Il lato A spinge sull’acceleratore con una tripletta, The Great Curve, Crosseyed and Painless e Born Under Punches (the heat goes on) da lasciare annichiliti. Il lato B parte con la hit Once in a Lifetime, prosegue con Houses in motion e poi si fa meno frenetico e più intimista, chiudendo con i “terrible signals” della cupa The Overload.

La carriera della band sarebbe poi proseguita con altri 4 dischi fino alla rottura definitiva. Tutti dischi di buon livello, ma incapaci di replicare la magia e l’intensità di Remain in light, che resta una pietra miliare in ambito new wave/post-punk e non solo.

Gabriele Marramà

 

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