Cassius – ‘Dreems’

Genere: French Touch / Elettronica 
Etichetta: Because Music
Release: 21 giugno 

L’impressione generale che traspare dall’ultimo album dei Cassius, Dreems, è quella che il duo francese abbia voluto, col suo ultimo lavoro, ripercorrere in musica le fasi del sonno. Attenzione, Dreems è tutt’altro che un album soporifero. Piuttosto – come del resto suggerisce esplicitamente il nome dell’album – esplora in modo musicalmente interessante la dimensione dell’onirico, del sogno; una prospettiva confermata dalla copertina, perfetta composizione kitsch dai tratti metafisici.
Non vorremmo soffermarci sulla scomparsa di Philippe Zdar (metà dei Cassius), perché ci sembra irrispettoso condizionare il nostro giudizio dell’album dalla morte di un artista e perché l’accaduto ci ha lasciato letteralmente senza parole.

Il brano d’apertura, Summer, lento, sereno, perfetto per un warm-up, è la calma prima della tempesta, quel momento in cui finalmente mettiamo la testa sul cuscino, prendiamo sonno e cominciamo a sognare. E infatti i Cassius, tra cori, chitarrine, loop in riverbero e voci filtrate dagli effetti più disparati, ci catapultano in un’intensissima sequenza di fasi REM – di quelle in cui mentre sogni muovi il culo a ritmo di 4/4: nuotate fra le nuvole (Vedra) si susseguono a feste sudate (Rock Non Stop) e umidi block party anni ’80 con tanto di MC al microfono (Cause Oui!, con Mike D). I suoni dell’album, ovviamente, rispecchiano l’atmosfera sognante e psichedelica: Fame è una Walking in the Rain post-moderna, in Don’t Let Me Be beat e voci electro si mischiano alla freschissima voce di Owlle, a cavallo fra house e – indovinate? – dream pop.

Più che un flusso unico, Dreems, è un sogno a più riprese: i pezzi più sospesi e dilatati si amalgamano al meglio con quelli più frenetici e agitati. I Cassius non ci vogliono portare con loro attraverso un viaggio sotto effetto di acidi, piuttosto ci presentano tanti scenari e atmosfere in modo fugace e momentaneo; i brani sono dei flash, più che dei trip (infatti sono tutti bene o male di breve durata). In alcuni pezzi meno riusciti si avvertono dei momenti di debolezza che rendono forse un po’ troppo lungo questo sogno (la title track, ad esempio), ma il disco si salva sul finale proponendo Walking In The Sunshine, un interessante esperimento un po’ dreamy, un po’ hip-hop, un po’ balearic; insomma, un bel pasticcio, terrificante a dirsi, ma in realtà piacevole all’ascolto, volto a simboleggiare – nell’ottica del sonno – il risveglio.

È un segno del destino che un album così, sospeso tra l’anima da club e cuore pop, sia stata pubblicato a due giorni esatti dalla morte di Zdar. È molto probabile quindi che diventi, ingiustamente, il canto del cigno del duo francese.  Noi continueremo a onorarli nel modo in cui abbiamo sempre preferito fare: sudando, ballando, muovendo il culo a ritmo dei loro inni da club.

Michele Ruggiero

 

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