Big Thief – ‘Two Hands’

 

 

Genere: indie folk 
Etichetta: 4 AD
Release: 11 ottobre

Partiamo da una premessa: chi pubblica due album in un anno solare senza un calo in termini qualitativi? Pochi, a memoria. Nel 2019, la filosofia che governa l’universo Big Thief pulsa anni ’70. La percezione, dopo aver ascoltato questi ultimi due album, è che il gruppo sia piacevolmente immerso in un loop temporale sospeso tra la fine degli anni ’60 e l’inizio dei ’70. Andremo per gradi e proveremo a spiegare il perché di questa nostra visione. Partiamo da una produzione perfetta, strutturata su registrazioni in presa diretta in overdub, e aggiungiamo quel nostalgico sapore di vinile che trasuda da ogni traccia e che tanto ci piace. In tanti sostengono che i due dischi pubblicati nel 2019 siano molto differenti tra loro, ma noi dissentiamo totalmente. Two Hands non si discosta dall’incantevole fusione folk-rock di U.F.O.F. e probabilmente, a differire, è la quasi totale mancanza di chitarre elettriche (eccezion fatta per Jenni) nel primo album, ma il tasso emotivo suscitato dai due dischi è in realtà figlio della stessa medaglia.

Due dischi estratti da due differenti contesti: U.F.O.F. registrato in uno studio immerso in un bosco nello stato di Washington, Two Hands nel mezzo del deserto del Texas, nello studio di Sonic Ranch, a pochi chilometri dal confine messicano. Quello che emerge da queste due differenti sessioni è che i Big Thief sono una “band” anche nella vita privata. Il senso di unione del gruppo è tangibile, e queste canzoni mostrano un’immediatezza, una compattezza sonora e un’alchimia fuori dal comune. Arpeggi scoppiettanti, chitarre elettriche tornate protagoniste, tamburi puliti e precisi, un basso delicatissimo e una voce, quella di Adrianne Lenker, capace di crescere e migliorarsi anno dopo anno.

Fatta questa dovuta premessa, vi diciamo subito che il disco suona così bene che non ci stancheremmo mai di ascoltarlo. Le canzoni sono tutte riuscite, ma a spiccare è la qualità complessiva della band, diventata una macchina pressochè perfetta. È vero, le migliori canzoni sono quelle più rumororse: Forgotten Eyes, Not e Shoulders, ma l’intero impianto sonoro di Two Hands non stanca, e piace anche nei momenti più lenti e intimi come nell’opener di Rock and Sing o nella ninna nanna di Wolf.  Quando una band pubblica due album in studio in un anno è consuetudine che i critici discutano e puntino il dito su un’ipotetica presunzione, suggerendo magari di assemblare due album e non scorporarli. Ma i Big Thief non sono mica Justin Timberlake, e sono totalmente fuori da certe logiche di mercato. Two Hands è il disco che spinge i Big Thief nell’olimpo delle migliori band in circolazione. Una chiosa finale per la struggente Not, autentico manifesto di dieci anni di rock, di ribellione, di cattivi governi, di sogni, di rabbia, di paure e di tanta speranza. Sbilanciamoci pure e sosteniamo che Not è la Smells Like Teen Spirit di questa generazione. 

G.A

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