Allah-Las – ‘Lahs’


 

Etichetta: Mexican Summer
Genere: Psych Rock 
Release: 11 ottobre

Uno dei dogmi più diffusi tra gli appassionati di musica è la necessità, per una band, di evolvere in modo marcato rispetto ai propri inizi, altrimenti non è più degna di considerazione. Quante volte, ad esempio, sono stati criticati gli Oasis per non aver mai davvero cambiato rotta nel corso dei loro 15 anni di carriera? Eppure, a mio parere, se è vero, nella maggior parte dei casi, che l’effetto “già sentito” rende effettivamente noioso il percorso di una band, è anche vero che, in alcuni casi, il rimanere fedeli a se stesi è una scelta corretta, per diversi motivi, che possono andare dal forte legame della band in questione con il territorio di provenienza, o da certe caratteristiche nello stile musicale e, soprattutto, vocale. Ce lo vedete Liam Gallagher cantare qualcosa di davvero diverso, tenendo conto anche della carriera post-Oasis? Se siete davvero onesti intellettualmente, la risposta è no, perché non solo Liam ha quella voce lì, ma è troppo legato al proprio immaginario per poter cambiare. 

Lo stesso si può dire degli Allah-Las, giunti al quarto album, che si discosta molto poco da quello precedente, e da quello che viene prime e anche dal debutto. I quattro di Los Angeles insistono con canzoni che rappresentano fedelmente un aspetto importante della West Coast da cui provengono, ovvero quel mix di psichedelia e attitudine rilassata che i Byrds hanno messo in musica meglio di chiunque altro. La band di Roger McGuinn è chiaramente la fonte di ispirazione primaria per gli Allah-Las, con i riff di chitarra rotondi e liquidi e le armonie vocali acquerellate, e, col passare dei dischi, è sempre più evidente che, per Matt Correia, Spencer Dunham, Miles Michaud e Pedrum Siadatian non ci sia alcun interesse ad allontanarsi da questo stile. Rimane la capacità di interpretarlo in chiave moderna e di non suonare come dei cloni, e come novità legate a questo disco, abbiamo pezzi completamente strumentali e l’utilizzo del portoghese e dello spagnolo in un paio di occasioni.

Perché, allora, per gli Allah-Las non sopraggiunge la noia dopo il quarto disco su quattro in cui la formula di base è la stessa? La risposta è dovuta dal modo in cui i quattro padroneggiano la materia su cui hanno scelto di lavorare: lo fanno, infatti, particolarmente bene e con l’abilità, difficile da descrivere o da spiegare, di suonare ancora freschi e genuini come una band debuttante e di mettere bene a frutto l’esperienza accumulata. Gli elementi sopra citati, quelli che caratterizzano la proposta dei losangelini, si srotolano sempre più evocativi e ammalianti e fanno vivere all’ascoltatore in modo sempre più realistico e coinvolgente cosa possa voler dire essere degli hippie nella West Coast contemporanea, che è diverso dall’esserlo stati qualche decennio fa. E se volete una riprova, ascoltate questo disco e poi rimettete su il primo, l’omonimo del 2012 che era, giustamente, stato così ben accolto: la differenza di qualità sonora, di intensità, di cura per i dettagli e di capacità di far sì che essi non siano un vezzo, ma servano per valorizzare la capacità espressiva ed evocativa delle canzoni, è evidente e innegabile.

E allora, perché cambiare, perché darsi a nuove strade? È giusto, e quasi doveroso, che gli Allah-Las restino fedeli a se stessi e che migliorino a ogni disco quello che, in inglese, si chiama il proprio craft, ovvero eseguano e cesellino sempre meglio il proprio lavoro. E noi ascoltatori che non ci facciamo condizionare dai luoghi comuni come quello esposto a inizio recensione, continueremo ad ascoltarli, a sognare a a godere.

Stefano Bartolotta 

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