25/04/2024
Il gruppo è attualmente impegnato in un tour mondiale che si chiuderà a fine anno e che toccherà anche l’Italia con un’unica data il prossimo 18 ottobre, a Bologna.

 

Abbiamo fatto una chiacchierata con i Daughters. Dopo l’uscita del loro ultimo disco You Won’t Get What You Want, pubblicato lo scorso anno dalla Ipecac Recording l’etichetta di Greg Werkman e Mike Patton, la band di Providence è attualmente impegnata in un tour mondiale che si chiuderà a fine anno e che toccherà anche l’Italia con un’unica data il prossimo 18 ottobre, a Bologna. Ci risponde il batterista Jon Syverson, con cui abbiamo piacevolmente conversato di progetti futuri, etichette discografiche e le origini geografiche della band. 

Non credo esista un genere in grado di descrivere la vostra musica, ma il suono math rock delle origini probabilmente sì è unito (dopo aver ascoltato più volte You Won’t Get What You Want) all’anima industrial e noise. Come nascono le vostre canzoni?

Sfortunatamente non c’è uno schema preciso nella costruzione di un pezzo che posso condividere con voi. Mi piace pensare che, proprio come qualsiasi pensiero creativo, ogni canzone sia unica nel modo in cui nasce. Alcuni brani sembrano fuoriuscire quasi completi dal punto di fruizione, come un continuo pensiero creativo o un flusso di coscienza. Altri arrivano molto lentamente… una parte qui, una là. Alcune idee sono il risultato di felici incidenti, certe canzoni sono calcolate e ben studiate, altre vengono accantonate per poi essere riprese anni dopo. Alcuni pezzi sono scritti da un solo membro del gruppo, altri sono frutto della collaborazione del gruppo.

Tra S/T e You Won’t Get What You Want sono intercorsi sette anni. Quali sono le ragioni che hanno portato a una così lunga gestazione del vostro ultimo lavoro?

La band si è sciolta. Siamo tornati insieme nel 2013 per suonare in due concerti a Providence ma non abbiamo ripreso a scrivere se non nel 2015… credo.

Dalla Robotic Empire  alla prestigiosa Ipecac. Può un’etichetta discografica influenzare i suoni?

Suppongo che possa essere possibile, ma non direi che i Daughters abbiano cambiato sound a seconda della casa discografica con cui abbiamo lavorato.

Siete di Providence, la cittadina più italiana degli States, anche rispetto a Roma. In che misura un luogo può influenzare la realizzazione di un prodotto musicale?

Providence ha una scena sonora particolare e indipendente. Sono sempre stato affascinato e fiero di questo. Credo che essendo di Providence siamo stati stimolati creativamente da tutto ciò che accadeva intorno a noi. Non penso che la band sarebbe stata la stessa se fossimo cresciuti in un’altra città.

Quali sono i vostri progetti futuri? Vi prenderete una pausa o avete già del nuovo materiale su cui lavorare?

L’idea è di finire l’anno di tour e iniziare a scrivere il prossimo disco nel 2020.

La copertina del vostro ultimo album ci ha incuriositi. Abbiamo notato che rispecchia il vostro cambio di registro stilistico, sposandosi perfettamente con l’anima del disco. Potete raccontarci come siete arrivati a scegliere questo artwork e chi l’ha realizzato?

Jesse Draxtler (autrore anche dell’artwork del nuovo imminente disco di Trentmøller n.d.r.) ha realizzato la copertina. Seguiamo i suoi lavori da molto tempo e abbiamo pensato che il suo stile si adattasse alla musica a cui stavamo lavorando. Credo che il riusato sia ottimo. 

Hai qualche band o musicista interessante da suggerire ai nostri lettori? 

Oh certo!  Jaye Jaye, Lingua Ignota, Show Me The Body e Budos band

Chiara Luzi 

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