‘In Utero’, l’ultimo disperato urlo di Kurt Cobain

In Utero è il terzo album in studio dei Nirvana, pubblicato il 21 settembre 1993 dalla Geffen Records. L’album è prodotto da Steve Albini.

11:52:54  – 21/09/2023



Quando hai in mano un disco come In Utero hai il sentore di possedere un album che non solo ha portato a compimento l’estetica di un genere musicale – il grunge in tal caso – ma che è divenuto un testamento di esacerbata bellezza di cui sei il depositario. Terzo e ultimo lavoro in studio dei Nirvana, In Utero viene prodotto da Steve Albini 30 anni or sono e lascia dietro di sé una scia di pubblicazioni live e svariati b-sides che hanno avuto il compito di mantenere vivo il fuoco di un mito collassato troppo presto.

Kurt Cobain si suiciderà l’anno seguente, in un triste 5 aprile. Ma è bastata una discografia di soli 3 dischi per intuire quale fosse l’universo che la band stava creando: Bleach, Nevermind e In Utero, tre differenti età di un uomo, tre modi di esprimersi che si richiamano, variazioni sul tema dello stesso grido di una generazione. Con In Utero si perdono i sentori aspri di Bleach, si sporca la pulizia di Nevermind, si smorzano i suoi slanci dionisiaci e si raffina il frutto che è arrivato a piena maturazione. L’album ha abbandonato l’élan vital dei precedenti – quella voglia di vivere a tutti i costi – ma è il viatico verso una pienezza arrivata troppo presto.

Ad ogni modo l’estetica del grunge e dei Nirvana è inequivocabile: i tredici brani dell’album non sono un grido di ribellione, ma ululate di rassegnazione, curve discendenti, l’ineluttabile abisso verso territori intimi e dolenti, verso il mondo delle meraviglie che Cobain è riuscito a dipingere. E rimane senza dubbio il disco in cui meglio si tesse una narrativa a dischiudere una ricerca esatta.   

IN UTERO E I SUOI BRANI

Il secondo brano dell’album, Scentless Apprentice, lascia trapelare la rabbia covata nella rassegnazione di sentirsi diversi, fino a divenire malattia; una morbosità sostenuta da chitarre dure e dai feedback borderline a cavallo tra il noise e la melodia che lascia nelle narici il profumo dell’acido. Se In Utero è il disco del ripiegamento interiore dopo i miti sfaldati – personali di Cobain poi iconizzati come generazionali  – ecco arrivare la redenzione sotto forma di brano: Heart-shaped box, un collage surrealista – un cadavre exquis che Joel Peter Witkin potrebbe tradurre con la sua macchina fotografica – con un ritornello che si fissa nella mente e che parla di un amore ai limiti della patologia, qualcosa che non ti lascia scampo, ma che allo stesso tempo riesce a salvarti.

Torniamo a far pace con noi stessi, ma qualcosa si è incrinato nela riconciliante Pennyroyal tea. Il rumore delle corde della chitarra che dà quel tocco struggente, insieme al basso di Krist Novoselic che ci fa scendere nel profondo e il momento chitarristico – di ineffabile bellezza – che dischiude la voce strascicante e disagiata dell’ultimo ritornello catartico. Tutto è al suo posto, ma la malinconia delle linee vocali non riesce a sublimare l’apparente momento di pace. La voce torna a serpeggiare nei versi di Milk it, quasi stanca, e le parole del bridge si sfaldano lavando via il loro stesso significato, superano la soglia di comprensione, giocano tra di loro; il latente nonsense ci introduce a qualcosa di epidermico che si attanaglia sotto la pelle annunciato nell’intro dalle chitarre dissonanti.

Quando dovrebbe esserci l’assolo, le chitarre continuano a sfaldarsi in una prosa spezzettata e creano il vuoto incolmabile di una lingua aliena. Con Tourette’s non abbiamo dubbi: l’aggressiva distorsione che apre il brano, le parole strillate che divengono puro significante e un riff di chitarra che ricorda l’impeto di Love Buzz in Bleach ci riportano alla veemenza che ha reso i Nirvana un gruppo quasi sacro. Le parole saranno incomprensibili, ma lo spirito torna dionisiaco, almeno per un po’, in un orgasmo corto e intenso.   

CONCLUSIONI

E infine All apologies, pulita, cristallina e poetica che annuncia che tutto ormai è redento; dopo svariate antitesi, ecco la tesi finale che diviene un insistente mantra nell’ultimo verso, reiterato fino alla chiusura del brano. Ogni contrasto è stato lavato via, il nirvana è ormai vicino. Chi è nato negli Ottanta non può non aver condiviso almeno una volta il male di vivere del frontman Cobain, bello e dannato. E non è nemmeno riuscito a sottrarsi alla parabola della band, al loro repentino atterraggio sulla scena del grunge in fermentazione che li ha accolti e innalzati con unanime consenso.

Volenti o nolenti, tutti gli adolescenti di quel periodo hanno orbitato nella dimensione Nirvana e con loro hanno trovato la necessaria catarsi. In Utero è un album viscerale come pochi che ha saputo attraversare una generazione spaccando a metà la scena musicale: ciò che è stato il grunge e ciò che non potrà esserlo più.

Martina Lolli 


LEGGI ANCHE ——-> Nirvana: in arrivo un nuovo documentario su ‘Nevermind’

LEGGI ANCHE ——-> Nirvana: in arrivo la ristampa di ‘In Utero’


 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *